Regia di Laszlo Nemes vedi scheda film
The Childhood of a Leiter
Sunset è, prima di tutto, un film sulla crisi: che sia essa identitaria, nonché, di riflesso, sessuale; che sia storica, poiché viene mostrata la decadenza novecentesca pre-guerra mondiale, in cui ciò che (non) viene filmato non riguarda "semplicemente" una storia di fantasmi, quanto, piuttosto, i fantasmi della Storia; che sia, infine, un film sulla crisi dell'Immagine, perché essa risulta perennemente offuscata, velata, quasi a non volersi più palesare o mostrare.
Ogni tipo di crisi, in questo caso, coesiste col fuori fuoco: in Sunset i corpi risultano spesso fuori fuoco, così da rafforzare il concetto di ambiguità identitaria; gli spazi della storia e della Storia, risultano confusi, cioè fuori fuoco, paradossalmente non collocabili in un preciso periodo storico, così da rafforzare il concetto di decadenza di una determinata epoca (L'Illuminismo verso il tramonto" è un semplice quanto stimolante gioco di parole ideato dal sottoscritto, che risulta, sempre secondo chi scrive, assai funzionale visti gli argomenti trattati); infine, la crisi dell'immagine, poiché è solo col fuori fuoco che, oggi, il racconto di una storia di fantasmi può risultare (in)credibile, nonché valorizzato; come se l'immagine non avesse nessun'altra possibilità di mise en scene, destinata, quindi, paradossalmente, ad oscurarsi e decadere da un punto di vista formale.
Non a caso, nel finale, svanisce il fuori fuoco, di conseguenza, sparisce anche l'ambiguità concernente la crisi, come, ad esempio, quella d'identità: nello schermo, ora, sono presenti solo uomini, come se si volesse palesare la nuova consapevolezza identitaria da parte del(la) protagonista: il lato maschile che si fonde definitivamente con quello femmineo, palesando, una volta per tutte, una sorta di dichiarata e limpida androginia.
Quindi, ricapitolando: la guerra è iniziata e, quindi, l'Immagine, la storia e la Storia, vanno, stavolta, "a fuoco". Scompare ogni tipo di fantasticheria stilistica e narrativa. L'identità dell'Immagine non è più in crisi. Cessa di essere ambigua, nonché fantasmatica: ora è direttamente cadaverica, smorta, poiché palesemente funerea, plumbea, cinerea, e non più ambiguamente crepuscolare.
Per tutto ciò detto fin'ora, Sunset risulta essere anche, e soprattutto, un film sull'ambiguità, che tratta il suddetto aspetto in maniera sfacciata.
Sunset è un film lynchiano soprattutto perché tratta e mostra la realtà oscura e febbricitante che si nasconde sotto l'apparentemente armoniosa, nonché statica e castrante, superficie; palesa, in sostanza, il filo nascosto che sta nel velluto blu o nel nastro bianco dei cappelli, i quali, appunto, rappresentano l'involucro sfarzoso che nasconde il malcontento che porterebbe alla rivoluzione, alla rottura necessaria di un clima soffocante ed opprimente; raffigurano un capo che copre e annulla l'ambiguità di un corpo o di un volto pronto ad esplodere come un fuoco d'artificio. Non a caso, all'inizio della lunga sequenza concernente il sottofinale, in cui Iris si prepara a guidare questa sorta di rivoluzione, sia storica che, forse, sessuale, essa giunge in questa sorta di club silencio del '900 - luogo per antonomasia, come in Mulholland Drive, che manda in cortocircuito realtà e sogno - con un cappello sobrio, minimale, spoglio, "maschile", a differenza della pomposità coprente dei cappelli concernenti la cappelleria presente nel film. Ora, il popolo è pronto a riprendersi la propria identità; Ora, Iris è pronta ad essere un(a) Leiter/Leader [gioco di parole dovuto al caso?] a tutti gli effetti.
E, sempre non a caso, a proposito di "rivoluzioni", la protagonista del film è, per chi scrive, assolutamente associabile alla protagonista del quadro di Eugène Delacroix, "La libertà che guida il popolo" [basti pensare come Iris è conciata, nonché come viene inquadrata, nella sequenza in cui viene visitata dal medico, nel minuto che intercorre tra 1.57.00 e 1.58.00].
Per chi scrive, Sunset risulta essere uno dei film più affascinanti e stimolanti del 2018.
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