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Tramonto

Regia di Laszlo Nemes vedi scheda film

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La recensione su Tramonto

di Spaggy
8 stelle

Laszlo Nemes, dopo aver trionfato in tutto il mondo con il drammatico racconto di Il figlio di Saul, torna con Tramonto a interrogarsi sulla Storia dell’Europa continentale del XX secolo portandoci nell’Ungheria dei primi Anni Dieci. A Budapest, fa ritorno la giovanissima (e bellissima) Irisz Leiter, intenzionata a lavorare dopo moltissimi anni di studio all’estero (precisamente a Trieste) nella nota e prestigiosa cappelleria che ancora porta il suo cognome perché appartenuta un tempo ai suoi genitori. Sin dai primi minuti, apprendiamo che l’attività è stata rilevata da Oszkar Brill, ex collaboratore dei Leiter periti purtroppo in un tragico incendio. La ricomparsa di Irisz non viene considerata di buon auspicio da parte di nessuno: tutti intravedono in lei un diavolo tornato dall’oltretomba per riportare a galla vecchie ferite. A essere però tramortita è la stessa Irisz, che scopre di aver un fratello di cui ignorava l’esistenza, Kalman. Costui si è reso responsabile cinque anni prima dell’uccisione di un conte e, volendo ritrovarlo, Irisz decide di mettersi sulle sue tracce.

Lavorando come modellista alla Leiter, inizia a notare come la città che la circondi sia diversa da quella che, a dodici anni, ha lasciato. Intorno a lei sembrano muoversi mondi differenti che, complicati e stratificati, non le fanno comprendere quale realtà la circondi. Raccoglie pian piano indizi sul fratello, convincendosi che sia un anarchico rivoluzionario e arrivando a incontrarlo durante una drammatica sparatoria. Ma raccoglie anche pian piano indizi su Brill e sulla vera natura degli affari della cappelleria, troppo cara a Sua Altezza Reale. Pian piano, Irisz realizzerà che l’utopia in cui credeva si è sbriciolata e che il suo universo, come quello dell’Impero austro-ungarico, è giunto a quel tramonto annunciato dal titolo.

Juli Jakab

Tramonto (2018): Juli Jakab

 

Il tema della ricerca, già presentato da Nemes nella sua opera precedente, ricompare prepotente in Tramonto. Le due opere possono essere considerate un unicum dato che per capire le derive del fiume nazista occorre risalire fino a inizio secolo quando gli equilibri dell’Europa dell’Est vengono alterati per dare origine a qualcosa di nuovo. La scelta di Nemes di raccontare il 1913 è significativa: siamo alla vigilia della Prima Guerra mondiale e quella parte d’Europa vive in bilico. Da un lato, il potere dell’aristocrazia e della nobiltà appare saldo e non mostra alcun segno di cedimento, anzi: si commettono orrori indicibili e brutture che vengono nascoste dalla bellezza dei palazzi, degli abiti alla moda e delle buone maniere. Dall’altro lato, tuttavia, i quartieri periferici e i locali più malfamati diventano la culla dei movimenti di chi desidera porre fine allo status quo per anelare alla libertà. Le due fazioni non hanno nulla in comune ma sono inevitabilmente attirate verso quel centro nevralgico rappresentato dalla cappelleria Leiter, simbolo della decadenza morale di chi con l’apparire cela l’essere. Irisz, la protagonista, diviene ago della bilancia e tramite inconsapevole tra i due mondi. In balia di forze a lei sconosciute, è confusa dai dati che raccoglie, non sa più quale sia la verità da seguire e rimane nella paura generale a cercare ragioni che la ragione stessa non conosce.

Come Saul era alla ricerca della propria dignità, Irisz è alla ricerca della propria identità. Entrambi sono mossi dal desiderio di ricongiungersi con qualcosa in cui credono: Saul con la religione dando sepoltura a quello che crede suo figlio, Irisz con la famiglia e le sue radici. Le radici di Irisz sono però paragonabili a quelle di un cancro: hanno trovato modo di espandersi in entrambe le direzioni, si sono dirette verso l’alto e verso il basso e stanno per presentare il (doloroso) conto finale. Al pari di Saul che è costretto a muoversi tra la moltitudine in un mondo che conosce, Irisz è in balia della città, degli individui che incontra, del caos delle strade e delle percezioni che recupera lungo il cammino. I sospetti, i dubbi e le remore, non l’aiutano a riprendersi il controllo di una situazione che continuamente la ingoia per poi risputarla. Irisz non trova appiglio in nessun aiutante: al pari del clima che si respira, ogni personaggio è ambiguo e nasconde qualcosa: chi sembra aiutarla è un suo nemico e viceversa. Il nome Leiter si disintegra e con lui anche le speranze di Irisz, chiamata dal precipitare degli eventi storici a dimenticare gli orrori della cappelleria per abbracciare quelli delle trincee.

Contrariamente a Il figlio di Saul in cui la scenografia era quasi assente, Tramonto è sontuoso nella sua ricostruzione storica. Costumi, ambienti, veicoli e pettinatura sono studiati in ogni loro dettaglio. Le scene di massa coinvolgono anche centinaia di comparse e restituiscono il caos, morale e metafisico, che si respirava nella città, rivale della capitale Vienna e in piena espansione. La camera non smette mai di seguire Irisz e la magnetica Juli Jakab che la interpreta: le cinge il volto con primi piani stretti per accompagnare le sue reazioni (sovente mute) o le si poggia sulla spalla portandone con sé battiti, trepidazioni, respiri e ansie. Volendo forzare la mano, Irisz potrebbe essere l’immagine di chiunque sia entrato in un campo di concentramento, di chi sia arrivato su un barcone della speranza in un mondo che non lo accetta, di chi non intuisce il perché non può decidere del proprio futuro, di chi non sa da che parte provenga il bene o il male, di tutti noi.

Girato in 35 millimetri, Tramonto ha il pregio di sembrare fuoriuscito da immagini d’epoca di un vecchio documentario ma anche il merito di aiutarci a capire quale clima sociopolitico avrebbe portato alla guerra. L’unico difetto che si può addossare al film è la troppa lunghezza, che porta più delle volte il contenuto a lasciarsi prevaricare dalla forma. 

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