Regia di Rana Kazkaz, Anas Khalaf vedi scheda film
Essere genitori: la stessa cosa, da sempre, in ogni parte del mondo. O forse no.
Violenza. Il mare è il nemico. Non è il luogo confinante con la spiaggia delle vacanze, lo sterminato proscenio di un teatro di giochi con la sabbia. È l’inizio di qualcosa che non si vede, e che può fare paura. Un padre vuole che la sua bambina impari a conoscere quel terrore, e a combatterlo, pur con poche forze, pur nella disperazione. A volte si somministra la crudeltà come un vaccino. Così si educano i deboli, quando i forti non lasciano alcuna possibilità. Il messaggio viene fuori all’improvviso, nel sorriso senza ombre di una giornata di sole estivo, quando tutto sembra chiaro, pacifico, a tratti allegro. Il motivo di fuggire non si vede. È un segreto che si nasconde per poter salvare la pelle, prima che sia troppo tardi. Ci sono le trame dei potenti, e quelle di chi non conta niente. Entrambe si svolgono in un silenzio inquietante, che porta in sé l’odore greve della morte, e per questo non lo si può infrangere, per nulla al mondo. È il mostro che resta acquattato dietro la normalità, quella che sembra la stessa ovunque, ma in certi luoghi è solo una forzata apparenza. Un uomo e sua figlia si confondono, nella folla, sono uguali a tanti altri: ma, in mezzo a loro, cova una terribile ossessione, che spinge lo sguardo al di là dell’orizzonte, dove il discorso prosegue, dopo aver lasciato sulla riva le cose solite di tutti i giorni. Un fotogramma, d’un tratto, svela quell’incongruenza: la storia nasce qui, ma solo per finire altrove. Intanto, prima di partire, prova a trovare il suo spazio, a saggiare i suoi limiti. La favola, per realizzarsi, non può rimanere innocente ed impalpabile come i sogni. Deve riempirsi della dura materia della realtà. Con la determinata dolcezza dell’amore che cerca di essere vero, e lo è fino in fondo.
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