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Tuo, Simon

Regia di Greg Berlanti vedi scheda film

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La recensione su Tuo, Simon

di lussemburgo
6 stelle

In pausa dalla produzione seriale che lo vede alla guida dell’intero universo DC televisivo, giovanilistico e vagamente camp, Greg Berlanti si cimenta nella terza regia con Tuo, Simon, la storia del coming of age e out di un diciassettenne americano all’ultimo anno di college. In quella terra di nessuno tra la fine del liceo e dell’adolescenza e prima della terra incognita dell’inizio dell’università e dell’età adulta, Simon, pur consapevole delle proprie preferenze erotiche, non ha trovato il modo né il coraggio di confessarlo a famiglia e agli amici per non rompere la perfetta armonia di un piccolo mondo personale, una bolla di felicità comunque destinata ad infrangersi presto, con la fine della scuola e una nuova libertà in agguato. Come tutte le favole, sebbene aggiornata ai social network e a FaceTime, Love, Simon si svolge in un oggi e in un luogo imprecisati, una sorta di eterno presente adolescenziale americano astratto e impalpabile, in cui tutto o nulla può accadere, spesso con le medesime conseguenze.

Benestante e prestante, benvoluto e amato, simpatico e divertente, Simon non vuole interrompere la fiaba di una vita mai dissonante, circondato dall’affetto e dal calore di coetanei e familiari con cui ha un’invidiabile complicità, al netto di quella grossa lacuna di sincerità. Leggendo casualmente su un blog locale la confessione di un suo incognito compagno di liceo che si dice omosessuale senza dichiararsi pubblicamente, Simon trova un’inedita sintonia che presto diventa segretamente amorosa, una simmetria con la propria condizione, sentimentale ed esistenziale di gay non esposto e niente affatto evidente. Incapace di trovare la sfrontatezza necessaria al coming out, il ragazzo intrattiene invece una sincera corrispondenza con il misterioso Blue (lui stesso firmandosi Jacques, in nome del condiviso anonimato), con il giallo dell’insoluto mistero dell’identità dell’amico di penna che lo porta a saltellare, con timida curiosità, da un ragazzo all’altro in cerca di quella sfuggente anima gemella, cercando di capire senza esporsi. Tra la versione aggiornata e parodica delle Relazioni Pericolose e un whodunit senza sangue, il film cerca un ritratto che è difficile definire generazionale e in cui l’unico elemento cacofonico è rappresentato da un aspirante ricattatore che minaccia di imporre l’outing e svelare l’orrido segreto del protagonista. Ma anche la presenza di un avversario diventa comica e il suo atteggiamento minaccioso solo blandamente innesca il meccanismo di una sbiadita suspense assunta a semplice pretesto narrativo.

Recuperandone in parte il cast, fin nei piccoli ruoli, Berlanti rimanda inevitabilmente a 13, la serie di Netflix di grande eco, riprendendone ambientazione e tematiche, con la vita liceale di una piccola comunità di periferia e i problemi relazionali dei ragazzi, compresa la componente investigativa di un’identità da svelare. Ma è proprio nel confronto, che diventa diretto per le scelte degli attori e dei temi, che il film soffre limitandosi a diventare una scimmiottatura edulcorata della serie. Se tra i ragazzi della Liberty High School la violenza (verbale, fisica e sessuale) diventa il motore di dolori e dinamiche sociali che compongono un sofferente e disilluso ritratto della società americana, adusa all’abuso, nel film di Berlanti i due bulli di turno vengono da tutti sbeffeggiati e ridotti a figurine pallide quasi pentite del proprio atteggiamento sbruffone. Inoltre la sessualità, diffusa e variegata nella serie, non si pone quasi mai il problema dell’omosessualità, scoperta e assunta come tale senza evidenti traumi nei personaggi coinvolti, diventando invece l’asse portante del film. Rispetto a 13, con cui sembra volersi misurare, Tuo, Simon si offre come un bignami dolceamaro, un surrogato privo di proteine e carico di zuccheri, in fondo spensierato e leggero e con una carica emotiva inversamente proporzionale alla serie, che persiste nella memoria con i suoi personaggi complessi e dolenti, per il dramma che si fa tragedia sin dall’incipit, per la colpevolezza generalizzata (sebbene con variazione di intensità da personaggio a personaggio, che si stempera nella redenzione di una più fragile seconda stagione).

Ma il film non ha nemmeno la carica euforica e la sincerità disarmante dei film di John Hughes, seminali nel ritrarre il mondo liceale, e soffre per la riduzione a macchietta di quasi ogni altro personaggio, dai genitori (con singola breve scena di approfondimento a parte per ognuno) al preside o agli insegnati (ma solo quello di teatro risulta presente), finanche nella definizione dei coetanei, e risulta invece perfettamente adolescenziale nel concentrarsi esclusivamente sugli interessi del protagonista, in un moto centripeto che rilegge il mondo un modo autoriferito, con una tale cecità di Simon verso l’esterno da fargli sbagliare la lettura di ogni altrui comportamento. Di questa teen dramedy condensata al suo solo pilot rimangono il volto da cucciolo smarrito del protagonista, l’ipotetica efficacia di un buon cast tradotto in pura caricatura e una discreta colonna sonora che, insieme, non fanno un vero film ma un intrattenimento paratelevisivo educato ed edulcorato, educativo ed edificante, forse gradevolmente superfluo.

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