Regia di Greg Berlanti vedi scheda film
Dopo aver steso un pietosissimo velo sulla traduzione del titolo in italiano, tra l'altro usando un'espressione che nella nostra lingua non esiste (almeno non in questa forma), e sorvolando sull'uso del sostantivo e del verbo "love" nell'inglese americano rispetto a come si usano da noi i corrispondenti "amore" e "amare", si affronti la pellicola che, come la maggior parte, presenta luci ed ombre. Il buono sta nella tematica, trattata correttamente, con discreto equilibrio, tanto da rendere il film proponibile alle scuole; nella sceneggiatura e nella regia, misurata e non priva di qualche tocco felice. L'ombra sta soprattutto nella constatazione che ci si trova qui in territorio di serie televisiva, tali sono le meccaniche, gli stilemi, il casting, il ritmo, ed il linguaggio in generale. Ciò rende l'opera indubbiamente più accessibile ad un certo pubblico, ma costituisce una minaccia terribile. Se il virus delle serie televisive attacca il mondo del cinema e lo "serializza", instillando modi, tempi e filosofia di queste ultime, si potrebbe preannunciare la fine della settima arte per come l'abbiamo sempre conosciuta, e i Bergman, i Fellini, i Lang e i Lubitsch, con mille altri veri registi, si rivolterebbero vorticosamente nelle loro tombe. Un'ultima riflessione: la vicenda descritta nella pellicola tende a far passare un concetto molto discutibile, e cioè che una persona gay, constatando di appartenere ad un gruppo estremamente minoritario, tenda ad innamorarsi di chiunque, basta che abbia i suoi stessi "gusti" sessuali, e quindi, per dirla con male parole, che sia di bocca molto buona. La cosa, oltre che essere contraria al principio del libero arbitrio, suona triste ed addirittura offensiva nei confronti delle persone omosessuali. C'è tanto da sperare che non sia così nella realtà.
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