Regia di Abbas Kiarostami vedi scheda film
Ultima immagine del film, che non è spoiler perché non si tratta certo di un giallo con colpo di scena, né questa scena ha una qualche rilevanza sulla non-storia del film: una macchina cerca di percorrere una salita molto ripida, però non riesce e scivola all'indietro finendo per fermarsi in una zona al lato della strada. Un uomo a piedi con una bombola sulle spalle interviene per spingere la macchina, lasciando momentaneamente la bombola per terra, e la macchina prende la strada che torna indietro. L'uomo a piedi recupera la bombola e comincia a salire per la scarpinata scoscesa, finché, mentre la musica in sottofondo aumenta di volume, la macchina ricompare e percorre la salita con la velocità sufficiente. Non appena passa accanto all'uomo con la bombola, che aveva già percorso gran parte della salita, lo fa salire e fa mettere la bombola sul tettuccio. Fine del film.
Forse è uno dei più bei finali mai visti. Non è un'esagerazione. Forse se la gioca con il fiore nel quaderno nel finale di Dov'è la casa del mio amico?, ma non è un caso, entrambi i film sono di Abbas Kiarostami, e E la vita continua si ricollega al film precedente proprio perché narra del viaggio di un uomo, possibile alter ego dello stesso regista, che cerca con suo figlio i due piccoli protagonisti di Dov'è la casa del mio amico? nel loro villaggio natale, quasi del tutto distrutto da un terribile terremoto. Tutti coloro a cui si chiedono informazioni sui bambini li conoscono, facce sorprendenti (e sorprendentemente indimenticabili) del precedente film di Kiarostami. Ma cosa spinge il regista iraniano a proseguire il suo discorso su..su che? Sul nulla, sulla povertà, sulla gente semplice di queste terre sperdute e dimenticate, su cosa? Kiarostami non parla di nulla, di preciso. E dal nulla tira fuori la poesia più profonda, spietata e commovente, proprio come l'ultima immagine di questo suo grandioso film. Dunque, perché tornare sui luoghi di un suo vecchio film, giocando sul rapporto fra realtà e finzione?
Si tratta di una "riflessione disarmante e sofisticata sulla morale dell'immagine" [P. Mereghetti], e questo sicuramente è vero, anche se finisce per essere localizzato necessariamente in alcune battute strategiche che certi personaggi di contorno pronunciano durante il film, come quella del vecchio che si chiede se è mai giusto un film in cui gli attori vengono truccati come vecchi, quando il cinema dovrebbe essere un luogo di fuga onirica e di ringiovanimento, o come il momento in cui tutti, pur nella disfatta più miseranda, decidono di chiudersi in una tenda per vedere una partita di mondiali, perché i mondiali vengono ogni quattro anni e i terremoti ogni..quaranta. Il significato più profondo, e meno razionalizzabile, di E la vita continua, sta però nei suoi "vivissimi" momenti morti. Viene difficile spiegarsi come Kiarostami riesca a infondere suspense in ciò che è facile facile anche se non quotidiano: sia in Dov'è la casa del mio amico? sia in E la vita continua i protagonisti (e ci sono sempre anche bambini) cercano una persona, e che la trovino o meno finisce per non avere reale importanza. Eppure la tensione si accumula mostruosamente, e non ci si accorge che intanto è passata più di un'ora. Cosa si respira in questi film di Abbas Kiarostami?
Si respira profumo di umanità e di vita. Anche se alle prese con la Morte i suoi protagonisti non piangono mai, solo una vecchietta in E la vita continua è presa dallo sconforto, tutti gli altri sorridono, guardano oltre, e parlano della morte sotto le macerie dei propri cari come qualcosa avvenuto molti anni prima (e non appena cinque giorni prima) e ormai passato. La vita continua davvero, e questo guardare oltre si addice a un qualcosa di reale ma al contempo mistico, fuori dalla nostra mente, altrove, via dai nostri pessimismi inutili e dalle nostre incertezze più banali. Di fronte alla tragedia la realtà offre i rimedi, e non importa se è stato volere di Dio, se si dice "volere" in modo sgrammaticato o se è stata colpa di un Caos indecifrabile: finché c'è solo un altro uomo dall'altra parte del pianeta, o nel paese vicino da raggiungere necessariamente a piedi, la vita merita di essere vissuta. Come quella che in un'ora e mezza, praticamente in tempo reale, noi viviamo nel film di Kiarostami, senza che accada nulla, senza che la forma prenda il sopravvento sui contenuti, senza alcun tipo di compiacimento autoriale. Solo l'immagine, e tutta la sua divina forza.
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