Regia di Michael Spierig, Peter Spierig vedi scheda film
La storia del mondo è talmente pregna di realtà bizzarre e inquietanti che con esse sarebbe possibile alimentare la settima arte quasi all’infinito. La storia della Winchester House, a molti sconosciuta, è sicuramente tra queste tanto che i fratelli Michael e Peter Spierig hanno deciso di costruirci intorno un film. Liberamente ispirato ai fatti realmente accaduti.
Siamo agli inizi del 1900 e il consiglio di amministrazione della nota ditta di fucili, incarica il dottor Eric Prince di valutare la salute mentale della donna che ha ereditato il 50% della società, ritenuta pazza e incapace di gestire gli affari di famiglia. Dopo la morte prematura della figlioletta infatti e del caro marito, la donna si è rinchiusa in un’enorme villa che continua ad ingrandire e modificare sette giorni su sette ventiquattro ore al giorno. L’intento è quello di costruire una camera per ogni uomo ucciso dai fucili dell’azienda di famiglia, che ne possa ospitare la dannata anima, per espiare ogni colpa affinché la maledizione che sembra aver colpito la sua stirpe, possa svanire.
Realtà o finzione che sia, i fratelli Spierig sono riusciti a dirigere una pellicola notevole. Ricostruita fedelmente l’ambientazione si sono avvalsi della bravura di Helen Mirren a dir poco perfetta nel ruolo della vedova ereditiera. Il suo sguardo assente, rapito dal lutto e dallo sgomento alimentato dalla paura che sembra circondare la sua esistenza, è da brividi forse anche più della stessa casa che la ospita. Buono l’uso dei suoni e della suspense che si estende per tutta la durata della pellicola, costellata comunque da esagerazioni di trama che rendono il tutto leggermente surreale. Il film ha la capacità di attrarre lo spettatore fin dalle prime sequenze; vuoi per la fotografia oscura e tetra che catapulta all’interno dell’ambientazione, vuoi anche per la bravura dei registi di creare le condizioni necessarie allo spettatore per sentirsi parte del gioco.
L’utilizzo dell’unico ambiente, senza influenze esterne (o quasi), permette l’identificazione di chi guarda con il protagonista, interpretando da Jason Clarke in modo intenso e piuttosto credibile, finendo per sentirsi anche lui uno dei spiriti che animano la casa, quasi anch’egli inchiodato con una barra di legno e tredici chiodi. Non fosse per il finale apocalittico in cui succede tutto e niente e l’esagerazione supera anche l’immaginazione più accesa, e per l’ultimo fotogramma che lascia spazio ad un sequel (ma speriamo di no), non ci sarebbe nulla da eccepire. Una pellicola quindi che parte bene e bene si svolge per più della metà ma che nel finale sembra voler affrettare le cose e finisce per trarre delle conclusioni esaustive ma alquanto affrettate e pregne di forzature che comunque nel cinema dell’horror talvolta sono necessarie.
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