Regia di Thierry de Peretti vedi scheda film
CANNES 70 . SEMAINE DE LA CRITIQUE/CINEMA OLTRECONFINE
Dopo esser stato inserito nel 2013 nella Quinzaine des Réalisateurs con il duro Les Apaches, il corso Thierry De Peretti torna a Cannes alla Semaine de la Critique con la sua nuova opera, nuovamente e prepotentemente ambientata nell’isola circondata dal nostro paese, ovvero la Corsica, teatro di violente lotte intestine tra clan di indipendentisti e associazioni radicali che non si discostano molto, per codici di comportamento ed efferatezza degli atti di giustizia perpetrati, dalle associazioni a delinquere di stampo mafioso della nostra isola più grande e meridionale.
Seguito alla morte violenta del suo compagno di lotta Christophe, il giovane Stephane decide di tornare nell’isola natia, lasciata per fuggire ad una morte certa dopo che, lasciati i panni borghesi retaggio di famiglia, era divenuto con l’amico il referente di un clan indipendentista tra i più efferati della zona, l’Armata Corsa, minacciato tuttavia da altre organizzazioni sovversive parallele impegnate ad avere la meglio sulla spartizione dei traffici del malaffare sull’isola.
De Peretti ci mette dinanzi ad un tragico attentato, ripreso con una efficacia documentaristica che fa accapponare la pelle tanto la scena dell’esecuzione e del rogo sembrano reali e realistiche.
Poi, in un lungo flash-back, il cineasta pone le basi di un affresco teso e realistico che rifugge più che può la platealità di ulteriori scene di violenza, rimanendo saldo sul lato realistico e descrittivo di una organizzazione che finisce per non fermarsi più di fronte a nulla pur di non cedere alle minacce degli oppositori.
E la Corsica, quella inedita dell’entroterra e dei quartieri più popolari e cementificati, diviene ben più che uno sfondo, all’interno del quale le dispute tra militanti si fanno accese lasciando trapelare idiomi a noi (liguri) piuttosto vicini per assonanze e cadenze.
Un film spietato e cupo, senza speranze, in cui il legame di famiglia, l’amore materno tutt’altro che consolatorio, ma effettivo e pratico, emergono a rendere ancora più cupo un cielo di per sé già molto lontano da apparire terso e portatore di pace ed ottimismo.
Ispirato a fatti e persone realmente esistiti (e giustiziati), Une vie violente traccia i segni di una saga familiare che rifugge facili platealità, per concentrarsi sull’ascesa carismatica e l’educazione politico-militante di un giovane capo destinato poi ad isolarsi da solo, minacciato da clan avversi desiderosi vicini alle organizzazioni mafiose, desiderose di subentrare e spartirsi il malloppo.
La molteplicità dei personaggi, e l’assenza di figure attoriali note o particolarmente carismatiche, favorisce l’efficacia di una rappresentazione corale, familiare, ed in questo senso consona alle intenzioni del regista, contrario a trasformare il racconto in una sorta di western epico e trascinante.
In sottofondo, in un lungo momento di accesi dibattiti di gruppo, udiamo la trascinante “Mi ami davvero” di Luca Carboni (“Scrivo una lettera per te, così per sempre la leggerai”…), che ci riporta ad inizio 2000, ove il film ritorna sotto forma di lungo flash-back dopo lo spietato incipit contemporaneo descrittivo dell’attentato.
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