Regia di Hubert Charuel vedi scheda film
L’esordio del regista di Hubert Charuel, un giovane francesino di 32 anni, è un “piccolo” colpo al cuore, è un miracolo di visione bucolica che viveva in lui sin da ragazzino, quando, nella fattoria dei suoi genitori apprese dai notiziari la nefasta notizia di quella malattia che fu battezzata “della mucca pazza”.
Più che scrivere di questo bel film bisognerebbe descrivere.
Descrivere lo sguardo, tra l’attonito, lo spaventato e il pensieroso, del protagonista Pierre.
Nei suoi occhi, occhi strani, che sporgono appena fuori da quel viso (ir)regolare e triangolare, sotto ad una capigliatura che da biondo sta passando troppo precocemente all’argento, occhi che raccontano l’incubo che sta vivendo nella sua tanto amata fattoria di allevamento di pregiate mucche da latte. Anzi, lui in verità non le alleva, ci vive assieme come capita a quegli allevatori che amano non solo il proprio lavoro ma lo ritengono una vera missione di vita, dando l’intera vita non solo in senso temporale ma anche come impegno e dedizione. E che amano le loro bestie fino a conviverci come una famiglia numerosa, anche se un po’ ingombrante. Basti osservare attentamente la sequenza iniziale quando Pierre si sveglia una mattina, una delle tante della sua vita, tutte uguali l’una all’altra, perché quel faticoso lavoro in fondo è sempre uguale, sempre ripetitivo, gli stessi gesti, gli stessi lavori, gli stessi orari, altrimenti le mucche soffrono. Lui si sveglia e ha la casa invasa dalle sue bestie, bellissime e grosse bestie nere pezzate di bianco, che vagano non solo per la grande fattoria ma anche per la casa, quando capita. Tant’è che quella mattina ce n’è una che lo osserva alzarsi proprio così come fa un cane che aspetta che il padrone si svegli, pazientemente, come sanno fare solo le mucche, sempre elogiate dai poeti per la loro mansuetudine.
Già da lì possiamo osservare che Pierre non è tranquillo, non è che stia dormendo bene: sarà il sonno dei giusti - in quanto se lo merita dopo l’ennesima giornata di grande fatica tra le sue trenta mucche – ma il suo è un sonno tormentato a causa di quello che lo affligge anche dormendo; è una storia che non gli piace e che lo spaventa da morire. In Francia e nel vicino Belgio si sta diffondendo un’epidemia letale, causa per cui i governi decidono per sicurezza, per igiene e per bloccare il diffondersi della malattia, di uccidere tutto il bestiame che vive in quegli allevamenti in cui purtroppo si stanno verificando i casi. È una sana e prudente precauzione da parte delle autorità, ma come si fa ad accettare da parte di un allevatore una decisione del genere? E venendo a noi, come fa Pierre a ipotizzare una svolta di questo genere nella fattoria che era stata dei suoi genitori e a cui sta dedicando tutto se stesso? Per adesso l’unica certezza che ha è che non ha mucche ammalate, però deve stare in guardia.
Per fortuna sua sorella Pascale è la veterinaria della zona ed è lei che controlla le sue bestie. Ma questo non lo tranquillizza anche perché giustamente la sorella è onesta e severa, per cui non troverebbe alcun appoggio in caso la situazione peggiorasse per lui. Cosa che puntualmente, come dappertutto, succede: quando a seguito dei controlli che lui effettua continuamente e con ansia scopre la prima mucca che si è ammalata. È qui che la tranquilla vita di monotono allevatore cambia direzione e stile: mentre il suo sguardo (è osservando i suoi occhi che seguiamo il film) si incupisce sempre più, Pierre decide seguendo l’istinto di conservazione. Non per la sua vita ma per quella delle sue mucche e per la sopravvivenza della sua azienda, ricevuta dai genitori e continuata con la stessa passione e competenza. Diventa, starei per dire, un thriller, un affannarsi per nascondere la verità non solo agli altri ma anche a se stesso, come se facendo sparire il corpo della prova – con scarsa furbizia, direi, ad ulteriore dimostrazione della poca dimestichezza con i gesti illeciti – farebbe svanire la malattia e quindi lui sarebbe salvo, immune dalla pestilenza. Diventa una corsa contro il destino ineluttabile, contro la burocrazia, contro l’Autorità, contro i suoi vicini amici che vogliono approfittare della situazione, contro la maledizione arrivata da chissà dove, perfino contro la sorella veterinaria e ma guardiana alleata con chi gli vuol troncare l’attività. È una battaglia più mentale che altro per lui, ma per tutti gli altri una guerra da vincere, anche contro di lui e le sue care mucche che tratta come sorelle, lavandole, accudendole, mungendole con gesti che sembrano gesti di affetto. Gli altri mica sanno come sta coccolando l’ultimo vitello arrivato! Lo lava con lo shampoo, lo accarezza per proteggerlo dalle altre bestie, lo custodisce come l’ultimo baluardo da difendere. Gli altri non capiscono. Pierre è un “piccolo contadino” che è andato in guerra col mondo.
L’esordio del regista di Hubert Charuel, un giovane francesino di 32 anni, è un “piccolo” colpo al cuore, è un miracolo di visione bucolica che viveva in lui sin da ragazzino, quando, nella fattoria dei suoi genitori (il film è stato girato proprio nelle sue proprietà) apprese dai notiziari la nefasta notizia di quella malattia che fu battezzata “della mucca pazza” e da allora l’idea non l’ha mai abbandonata e oggi l’ha materializzata sullo schermo con una storia spiazzante che si rivela una bellissima sorpresa. Nell’ambito di una narrazione precisa e man mano sempre più ansiogena, ci mostra un mondo che molti di noi ignorano e che illustra l’amore e la passione che gli allevatori dedicano a questi begli animali, ben conoscendo Charuel l’ambiente. Ai meriti del regista va aggiunta la preziosa interpretazione di Swann Arlaud, che sorprende non poco per come si è immedesimato nel ruolo e che rende perfettamente gli stati d’animo che investono il giovane protagonista Pierre. Bravissimi entrambi.
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