Regia di Sharunas Bartas vedi scheda film
Ci aveva abituati a ben altro tipo di film Sharunas Bartas, il regista lituano di questo Frost (2017).
In breve la vicenda narra di un ragazzo e una ragazza lituani che devono portare dei soccorsi umanitari nella zona nevralgica del conflitto russo-ucraino in cui si scontrano separatisti (appoggiati dalla Russia) e unionisti.
Sulla carta questo viaggio aveva un certo potenziale sia per un canonico (si fa per dire) road movie in zone di guerra, che per un film alla Bartas, fatto cioè di riprese lunghe, di campi lunghi, silenzi, immagini scioccanti, dialoghi scarni fra persone che non possono, pur sforzandosi, comprendersi vicendevolmente. Niente di tutto ciò. In questo film il regista si concentra proprio sui dialoghi degli uomini e delle donne che vivono la guerra e vivono malgrado la guerra. Fa ciò il più delle volte ponendo i volti di queste persone al centro (o quasi) dell’inquadratura come a voler obbligare noi spettatori a fissarli in faccia e a vedere, attraverso i loro visi, gli effetti che un simile evento può avere. La scelta non è tuttavia così d’impatto come si potrebbe pensare, anzi alla lunga stanca, anche perché – ed è questo il difetto maggiore di tutta l’opera – i dialoghi non sono niente di che. L’impressione è che la scrittura non sia proprio il maggior talento di Bartas, che ne è probabilmente consapevole, visto che ne aveva fatto della scarsità di dialoghi un marchio di fabbrica dei propri film. Al film mancano anche quelle inquadrature di minuti e minuti di esterni (si pensi a Lontano da Dio e dagli uomini) e interni (The House) che donavano fascino ai suoi precedenti lungometraggi.
Il film ha anche dei lati positivi, neanche troppi a dirla tutta, ma non bastano per salvare quest’opera che è poca cosa se paragonata alla filmografia precedente del regista.
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