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A Ciambra

Regia di Jonas Carpignano vedi scheda film

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La recensione su A Ciambra

di Kurtisonic
7 stelle

Con disincanto e realismo, un giovane autore prova a sconfinare dentro la più pressante attualità. Allo spettatore resta la scelta della direzione da intraprendere. Se la formula non sembra abbastanza originale immergiamoci nei suoni e nei colori di A Ciambra, Ne usciremo frastornati.

scena

A Ciambra (2017): scena

Apprezzato e premiato all’ultima edizione del festival di Cannes, arriva in sala senza troppi clamori il film di un giovane talento italiano, Jonas Carpignano, di formazione cinematografica americana, cresciuto tra New York e Roma e che da sette anni vive a Gioia Tauro. La sua natura multiculturale evidentemente influisce sulla cifra del suo cinema e con A Ciambra ci offre uno spaccato di quelle realtà che con ostinazione tanti autori nostrani ignorano o magari  evitano con una buona dose di opportunismo perché ritenute troppo problematiche con un alto coefficiente ideologico da manipolare. Non solo però il nostro Jonas affronta la dura realtà con determinazione ma lo possiamo collocare in quella ottima compagnia di autori che da varie parti del mondo ha cominciato a sollevare la questione identitaria come la chiave di volta per cercare di spiegare il presente e magari di farci presagire qualcosa del futuro. Nelle interviste che il regista ha rilasciato dopo Cannes, non ha mai mancato di giustificare la scelta di vivere a Gioia Tauro, scenario dei suoi lavori anche futuri, con la sensazione di sentire in quel luogo la presenza di una “comunità” vera e di farne perciò quell’elemento fondante della sua ricerca. Girato con lo stile del docu fiction, il film ci parla e ci catapulta dentro una realtà così minuziosamente descritta che raramente trova riferimenti simili nella cinematografia nazionale contemporanea. Il sapore dell’autenticità Carpignano se l'è guadagnata andando a vivere stabilmente nelle terra di cui parla, toccando con mano la quotidianità dei suoi abitanti e facendola diventare sua. Il suo lavoro va inteso in senso globale come un corpo unico, dal documentario Mediterranea (2015) che parla della difficoltà di convivenza della numerosa comunità africana migrante con gli abitanti d’origine, al film in questione, A Ciambra (2017), sulla vita dentro un quartiere degradato della città della minoranza rom e delle vicissitudini di un ragazzino appartenente al gruppo stesso, fino a guardare  al lavoro futuro in preparazione che riguarderà una ragazza calabrese che si rifiuta di emigrare. Il risultato del radicalismo del regista è sorprendente e riuscito, la distanza tra cinema e realismo viene annullata, per certi versi la mdp sembra invisibile e lo sguardo dello spettatore diventa egli stesso un protagonista della scena, testimone chiave di ogni vicenda ma allo stesso tempo sempre lontana da ogni forma di compiacimento. Stiamo percorrendo una sottile linea di confine tra la sceneggiatura della stessa vita dei protagonisti e un limbo inesplorato costruito dai nostri giudizi e da opinioni che rifiutano di andare oltre la superficie, il pensiero del pubblico riproduce inconsapevolmente  così la materia fiction. Pio ha quattordici anni e una fretta di crescere che gli ruba l'adolescenza, i suoi riferimenti adulti sono uomini disposti a tutto per sopravvivere, l'illegalità e il furto sono le regole comuni per sentirsi uguali. La figura decisiva che mette Pio e gli spettatori in conflitto con le immagini (non prive nella loro crudezza di un certo virtuosismo) sarà quella dell’anziano nonno che apparirà sotto forme diverse e che con il suo pesante silenzio potrebbe offrire la chiave di lettura del film. Pio si troverà a dover fare delle scelte che implicano inconsciamente i retaggi e la materia d’origine che costituisce ogni essere umano e che lo condiziona. La comunità, ovvero quella in cui lui si riconosce è portatrice di valori che superano qualsiasi rapporto e una volta accettati se ne potrà uscire come un singolo individuo? Oppure sarà indispensabile una rottura con l’ambiente, a costo dell’isolamento sociale e dell’emarginazione come prezzo da pagare alla solidarietà e all’onestà? Quanto pesa nell’uomo moderno sentirsi parte integrante di una comunità? A Ciambra sa elevarsi dignitosamente da ogni teoria retorico buonista, e non ha nemmeno la pretesa di dare delle risposte , nel corso del film non c’è un momento in cui vediamo diversamente i personaggi da come sono, non esiste né prima né durante una dose minima di comprensione o di accettazione verso il modo in cui essi vivono. Carpignano li illumina in maniera egregia di luce propria, senza farne delle vittime del sistema o tantomeno calcando la mano sulla spettacolarizzazione della brutalità quotidiana con cui hanno a che fare. L’autenticità è garantita e pur restando un piccolo lavoro, con una piccola produzione firmata Martin Scorsese (che qualcosa ci ha visto nel regista..) accende qualche luce positiva su di un panorama nazionale che potrebbe finalmente schiodarsi dai soliti parametri narrativi (per esempio da quello della commedia tardo adolescenziale che sforna annualmente tanti giovani promesse poi mai mantenute..). Insieme a L’Intrusa di Costanzo, entrambi i film presenti a Cannes, sembrano due ottimi biglietti da visita del presente per guardare  il cinema italiano con meno pessimismo.

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