Regia di Guillermo Del Toro vedi scheda film
Ogni cosa in questo film è accennata, anche la componente sessuale che, potenzialmente, potrebbe dare un po' di brio a una pellicola che sembra proprio essere indirizzata a donnette di mezza età, agognati un maschione pettoruto che le inabissi nelle profondità del tedio.
La storia e i personaggi del film del regista messicano ricalcano le linee guida della fabula più che quella di una narrazione articolata e metabolizzata: sembra che regia e sceneggiatura siano state eseguite in maniera superficiale e istintiva, senza la ricerca di un’elaborazione ulteriore tale da rendere l’intera vicenda non solo una mera esposizione di fatti, ma un vero e proprio intreccio, degno di un prodotto cinematografico.
Andando per ordine, varie cose non funzionano dal punto di vista narrativo, in primis la caratterizzazione dei personaggi, che in toto risultano piatti ed estremamente stereotipati: il cattivo (il colonnello Strickland) lo è per indole, sembra che agisca in maniera del tutto istintiva e quasi ingiustificata tanto da risultare spesso e volentieri una macchietta (con tanto di tic-ciuccia caramella); la protagonista/principessa (l’addetta alle pulizie Elisa) a tratti sembra terribilmente la classica donnetta che si innamora (prototipo superato persino dalla Disney), sebbene si tenti in maniera molto poco convincente di elevarla a eroina; il secondo antagonista, ma che in realtà si rivela alleato/aiutate (il dott. Bob / Dimitri), è estremamente prevedibile; piccola eccezione per le spalle/aiutanti che, sebbene anch’essi stereotipati all'ennesima potenza (la collega nera dotata di grande sarcasmo e il fidato amico gay artista amante dei gatti) riescono a strappare qualche sorriso (forzato) a una vera e propria marea di desolazione; la creatura/principe ha ben poco spazio e pare più uno scimmione troglodita che un essere affascinante in grado di ammaliare (l’unica cosa a cui ero in grado di pensare quando lo vedevo era il puzzo di pesce, la desquamazione costante e la capacità di comunicare -e quindi emozionare- di una scatoletta rio mare), dotato di un (inspiegato) potere rigenerativo abbastanza inutile alla trama, se non funzionale allo scioglimento della storia verso il classico happy ending.
La cornice in cui è ambientata l’intera vicenda è anch'essa ricca di luoghi comuni: il contesto della Guerra Fredda si delinea semplicemente attraverso la presentazione di alcuni russi “brutti e cattivi”, che spesso sembrano uscire dal nulla e, soprattutto, non costituiscono alcun tipo di minaccia effettivo (dato che sono tendenzialmente in due e appaiono più come dei tappabuchi che se non dei veri e propri antagonisti), almeno non quanto gli stessi americani, perfetti ma ancora più “brutti e cattivi” (sia mai che un messicano sia filoamericano...), capaci di creare in laboratorio una creatura mostruosa allo scopo di usarla come arma segreta (ma va, che originalità).
Il contesto della Baltimora degli anni ‘60 sembra solo un pretesto per aggiungere ulteriore carne al fuoco: la condizione della popolazione afroamericana (rappresentata da Zelda, alias l’amica di colore della protagonista) e degli omosessuali (tramite la figura di Giles) di marginalizzazione rispetto ai canoni della società americana (simboleggiata brevemente nelle scene della famiglia del colonnello Strickland) sono anch’essi appena accennati in qualche momento singhiozzante e non sufficiente a delineare una struttura convincente e realistica (ad esempio la scena nel negozio di torte, dove in pochi minuti si assiste all’apoteosi della banalizzazione, dove il cameriere caccia in maniera alquanto ridicola e poco credibile sia una coppia nera che Giles in quanto gay). Il tema della discriminazione è troppo superficialmente trattato, e perde qualsivoglia rilevanza sia ai fini dello svolgimento della trama che semplicemente quale veicolo di un messaggio “sociale”, e pare solamente un contentino forzatamente inscenato per rispettare quel senso di “politically correct” obbligato (e obbligatorio) che aleggia attualmente nel mondo dello spettacolo, in particolar modo americano.
E la colonna sonora? Se è possibile, è ancora più banale e retorica del film in sé (come non mettere un bel pezzo melenso francese mentre la povera sorda sospira ripensando al suo pesciolino sguazzante nella sua vasca da bagno, dove fino a poco tempo prima la cosa maggiormente eccitante che accadeva era qualche seduta mattutina di autoerotismo, goffa e impacciata?). La scelta di assegnare ad Alexandre Desplat l’Oscar per la Migliore Colonna Sonora mi ha lasciata perplessa tanto quanto l’assegnazione del premio come Miglior Film, non tanto qualitativamente parlando (il compositore francese è indubbiamente un professionista), ma sembra che in questa pellicola anche lui abbia contribuito ad alimentare la sensazione di ovvietà e scontatezza.
Ogni cosa in questo film è accennata, anche la componente sessuale che, potenzialmente, potrebbe dare un po' di brio a una pellicola che sembra proprio essere indirizzata a donnette di mezza età, agognati un maschione pettoruto che le inabissi nelle profondità del tedio.
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