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La forma dell'acqua

Regia di Guillermo Del Toro vedi scheda film

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La recensione su La forma dell'acqua

di Peppe Comune
7 stelle

Elisa (Sally Hawkins) è una ragazza muta che lavora come addetta alle pulizie in laboratorio governativo che a Baltimora. Sua collega e amica è Zelda (Octavia Spencer), una donna nera sempre pronta a far valere i suoi diritti. Siamo in piena Guerra Fredda e al laboratorio si lavora per stare sempre un passo avanti rispetto ai Sovietici. Un giorno, al centro di ricerche arriva una strana creatura anfibia (interpretata da Doug Jones) dalle fattezze umane, catturata nella foresta amazzonica e venerata come una specie di divinità dalle popolazioni indigene. Carceriere zelante di questa strana creatura marina è il colonnello Richard Strickland (Michael Shannon), un prodotto perfetto del clima cospirativo coevo. Saputo che su di essa si sono indirizzati anche i russi, il generale Frank Hoyt (Nick Searcy) da l’ordine di ucciderla. L’idea è quella di vivisezionarla per studiarne l’essenza. Intanto, approfittando che le sue mansioni la portano a girare quasi indisturbata in ogni angolo del laboratorio, Elisa è riuscita a instaurare un rapporto simbiotico con la creatura marina, e quando viene incidentalmente a sapere del progetto di Strickland progetta l’idea di portarla in salvo. Aiutata da Giles (Richard Jenkins), un amico gay suo vicino di casa, e della complicità inaspettata del dottor Robert/Dimitri Hoffstetler (Michael Stuhlbarg), uno scienziato russo infiltratosi in incognito nello staff del “nemico”, Elisa riesce a portare la creatura anfibia fuori dai laboratori e ad immergerlo nella vasca da bagno del suo appartamento. Tra i due scoppia un amore bello ed anomalo insieme, destinato però a non durare a lungo, perché se vuole continuare a vivere, la creatura marina deve al più presto tornare nel suo mondo. Ma Strickland gli dà la caccia, e non si darà per vinto fino a quando non avrà catturato il suo “mostro”.

 

Sally Hawkins, Doug Jones

La forma dell'acqua (2017): Sally Hawkins, Doug Jones

 

“La forma dell’acqua” del regista messicano Guillermo Del Toro è una favola fantascientifica che fa incontrare il credibile e l’incredibile in una storia che ci porta a riflettere su temi quali la forza dell’amore, il rapporto del genere umano con l’altro da se, la natura fallace di ogni pregiudizio, lo scontro impari tra chi esercita il potere e chi è costretto a subirlo. “Una storia di amore e perdita” (come recita la foce off ad inizio film) che oscilla tra il racconto romantico venato di surrealismo e il dramma sociale ammantato di cupo realismo. Una spy story alquanto atipica insomma, capace di farsi apologo politico insinuandosi poco alla volta, che ha come sfondo il clima torbido generato dalla Guerra Fredda e come “eroina” inaspettata una figura esile e garbata che al brutto che la circonda oppone una carica visionaria che sembra mutuata direttamente dal mondo indolore dei fumetti. Il film si apre a più chiavi di lettura, e se lo sviluppo del sentimento amoroso immerso in una trama fantasy ne rappresenta l’aspetto centrale e portante, non meno importante è il suo soffermarsi discreto su storie di ordinaria prevaricazione sociale. Una prova evidente ci è data dal modo in cui sono stati caratterizzati i buoni di questa storia, tutti emarginati sociali accomunati dal dover intraprendere una lotta impari contro la loro stessa condizione esistenziale : Elisa rispetto al suo handicap fisico, la creatura anfibia rispetto alle sue fattezze “mostruose”, Zelda rispetto al suo colore della pelle, Giles rispetto alla sua natura omosessuale e anche il dottor Hoffstetler rispetto ad una scienza che vorrebbe più umanizzata. Poi l’ambientazione (in parte derivata da “Il mostro della laguna nera” di Jack Arnold), perlopiù caratterizzata dalla contrapposizione cromatica tra esterni opacizzati e interni “pastellati” (da “Mondo di Amelie” naturalmente), espediente stilistico che è servito ad unire specularmente la sindrome del nemico che si respira dentro i laboratori fumosi e tutto il candore possibile evocato dall’appartamento di Elisa : il momento della cattività militaresca con quello dell’apertura verso orizzonti rinnovati. Perché è nei laboratori asettici e inospitali che entra in scena per la prima volta il contrasto anche simbolico tra l’opera di quanti si impegnano per mantenere ben delimitati i confini di un mondo suddiviso in due blocchi contrapposti, e la crescita progressiva di un sentimento amoroso che della totale assenza di confini cognitivi ha il suo punto di maggior forza.

In questo quadro, fondamentali sono naturalmente i tre personaggi principali e il modo in cui interagiscono vicendevolmente in uno schema di marcata contrapposizione ideologica. Strickland è un devoto del “pensiero positivo”, non può e non vuole pensare che una missione da lui condotta non sia felicemente conclusa. Totalmente coinvolto nella natura messianica del ruolo che svolge, Stickland incarna le fattezze di un paese immerso nel clima cospirativo della Guerra Fredda, un paese che ha sempre bisogno di nuovi mostri per alimentare continuamente la sindrome del nemico. Elisa, invece, è l’umile operai di un’impresa di pulizia, la muta che “pulisce merda e lava piscio nei cessi”, cose che, secondo lo schema mentale di Strickland, gli impedirebbero di fare “cose importanti”. Così come la creatura anfibia, esautorata pregiudizievolmente delle sue capacità “divinatorie” perché ritenuto una “creatura inferiore”, privo di intelligenza e incapace di provare sentimenti.È proprio questo essere messi a diverso modo ai margini del senso comune dominante (incarnato appunto da Stickland) a fare da premessa essenziale per il sorgere dell’amore di una vita, a dare a due solitudini indifese la forza di sfidare i titani. È proprio questo a rendere “La forma dell’acqua”, prima di ogni altra cosa, la storia fantasticata di un amore atipico e struggente, nato nel chiuso di un laboratorio e apertosi agli imperscrutabili misteri del cosmo.

Ritrovata in un fiume, ad Elisa venne recisa la laringe rendendola muta. Guillermo Del Toro gioca di sponda con questi fondamentali accenni biografici che sono quanto servono alla donna per farla entrare in sintonia con la creatura anfibia in maniera pressoché naturale, a farla comunicare attraverso l’uso di un linguaggio a cui non servono le parole per esprimersi, ma la purezza dei sentimenti per farsi capire. L’anfibio vede Elisa per quella che è e per come veramente appare, al di là dell’handicap fisico che ha pesantemente condizionato la sua vita. E questo basta alla donna per maturare la voglia di salvarlo dalle mani di vorrebbe farne una cavia da laboratorio, per innamorarsene come quell’unica cosa veramente capace di emanciparla dalla sua anonima marginalità. Il rapporto che si instaura tra di loro è bello non perché partecipe di un fatto eccezionale, ma perché il loro amore li innalza sopra le comuni vicende umane, sopra le posizioni preconfezionate, oltre la disumana abitudine di soffocare l’immaginazione.

A corollario dell’intero impianto narrativo, c’è l’uso simbolico di alcuni elementi che (evidentemente) sono serviti a Del Toro per armonizzare “coerentemente” l’incontro tra il credibile e l’incredibile, a incanalare l’esistenza di entrambi in un rapporto di profonda ed irreversibile sintonia. Naturalmente l’acqua, poi l’uovo, e infine il sesso. Tutti e tre evocano sin da subito l’idea della nascita, dell’inizio dell’esistenza, di un qualcosa che sta per prendere concretamente forma. Nell’economia del film, sorretti quasi sempre da una dimensione sognante, evocano direttamente la primazia della vita sulla morte, dell’amore sull’odio, della bellezza dei sentimenti umanizzanti sulla bruttezza dei pregiudizi.

“La forma dell’acqua” è dunque una favola dai toni agro dolci che presenta tutti i tratti tipici delle belle storie romantiche che vogliono avvincere e commuovere, generare empatia verso i buoni e ostilità contro i cattivi, saziare il cuore senza far assopire l’intelletto. Un buon film che è probabilmente fatto oggetto di un’eccessiva sopravvalutazione (ha vinto il Leone d’oro a Venezia ed è candidato a ben tredici premi Oscar), ma che, a mio avviso, ha un suo perché nella causa delle belle storie raccontate con onesta credibilità.   

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