Regia di Guillermo Del Toro vedi scheda film
Magari non il capolavoro a cui alcuni hanno gridato, ma una favola di ottima fattura che fluisce scorrevole ed avvincente, una materia fantastica con cui Del Toro sa intrattenere componendone i diversi elementi con maestria, ma senza osare fino in fondo.
Una bella favola, incentrata sui “mostri” e le creature fantastiche tanto care a Guillermo del Toro fin dai tempi del “Labirinto del Fauno”.
Non un capolavoro, ma una fantasia di solida fattura e pregevole confezione, in cui la storia della bestia umanoide anfibia liberata dalla prigionia da una umile e timida inserviente muta ed al centro di una spy-story in piena guerra fredda fluisce scorrevole ed avvincente. Del Toro sa comporne i diversi elementi (fantastico, horror, suspence, romanticismo, commedia, dramma, spy-story, musical, persino splatter in certe scene) con maestria. Riesce ad infilare tra le pieghe della storia, senza appesantirla, il suo messaggio a sostegno della diversità.
Dal punto di vista visuale, il mestiere del regista si rivela soprattutto nelle scene subacquee (le più poetiche) e nell’uso poliedrico dell’acqua di cui al titolo, la cui “forma” che compare in quasi tutte le scene, ora nella vasca da bagno della protagonista, ora nel secchio per le pulizie, ora nella piscina in cui è imprigionata la “creatura”, ora in forma di onde del mare, ora di sgocciolamento dall’appartamento allagato al sottostante cinema, ora di pioggia torrenziale che inonda la parte finale.
Di un film del genere le scenografie, i trucchi ed i costumi non possono non esserne cuore pulsante e qui creano un’atmosfera fantastica senza smarrire la realistica ricostruzione degli anni 50.
Tuttavia, al di là dei sopracitati meriti che vanno riconosciuti ad un’opera di ottima fattura, trovo che l’entusiasmo con cui è stato accolto questo film e la messe di premi che ha raccolto siano forse un po’ esagerati. Non si può a mio parere parlare di capolavoro per una pellicola avvincente ma che in tutta la sua fantasia non fuoriesce appieno dal convenzionale, e che incontra un limite proprio nell’approccio “favolistico” che vorrebbe essere per adulti ma rimane in fondo infantile, che intrattiene senza però “osare” e volare verso la genialità del surrealismo.
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