Regia di Guillermo Del Toro vedi scheda film
Se da una parte l’autore messicano conferma l’unicità della sua firma nella valenza metaforica della messinscena, va anche detto che La forma dell’acqua non riesce ad essere niente più che una bella storia d’amore.
Come per tutti gli autori forti di una poetica estremamente caratteristica, il rischio di ripetersi dopo quasi trent’anni di filmografia (l’esordio al lungo risale al 1993 con Cronos) è pressoché inevitabile. Si tratta di una sorte cui certamente non avrebbe potuto scampare Guillermo del Toro, che con quello che rimane tuttora il suo capolavoro indiscusso, Il labirinto del fauno, fece conoscere al mondo intero la sua passione per le atmosfere fiabesche venate dall’orrifica realtà che ci circonda. Quindi ecco La forma dell’acqua, stessa formula applicata ad una storia d’amore.
Nel racconto dell’innamoramento tra una donna delle pulizie muta e una sorta di mostro della laguna nera (omaggio dichiarato del regista al film del 1954 di Jack Arnold) ci sono tutti gli ingredienti classici del cinema di del Toro: l’innocenza trasognata della protagonista destinata a scontrarsi con la durezza nichilista dei rappresentanti del potere, il tentativo di rivalsa del diverso, l’escluso, quindi la bontà nell’orrido, traendo direttamente dalla lezione estetica di Victor Hugo, che col suo Quasimodo (Notre-Dame de Paris) ribaltò le aspettative del pubblico legittimandone le disarmoniose forme. Se da una parte l’autore messicano conferma l’unicità della sua firma nella valenza metaforica della messinscena, va anche detto che La forma dell’acqua non riesce ad essere niente più che una bella storia d’amore. Probabilmente la mancanza totale di un sottotesto politico debilita l’ambizione di del Toro, che a contatto con questa materia non riesce a far altro che realizzare un godibile divertissement per sé e per il pubblico, al pari degli ultimi lavori.
Ed è proprio con i suoi due film precedenti, Crimson Peak e Pacific Rim, che la nuova opera del regista va a formare un trittico di riflessione autoreferenziale: dopo l’omaggio alla cultura orientale ed il ritorno al cinema di genere, La forma dell’acqua si rivela essere un omaggio ad un certo modo di vivere, quindi di fare cinema. In particolare si sta parlando degli Stati Uniti in piena guerra fredda, paese capace di vivere una situazione estremamente drammatica facendo allo stesso tempo sognare la gente comune, che si tratti di una donna muta che immagina di cantare o un mostro rapito dallo schermo cinematografico ancor prima che dal mondo che lo circonda.
Se prima Guillermo del Toro realizzava qualcosa di nuovo, adesso personalizza e dona nuova vita a storie dal gusto superato. E se l’aspetto attoriale è retto da una Sally Hawkins ed un Michael Shannon fenomenali, niente potrà toglierci il gusto di continuare ad apprezzare la maniera gotica di un regista che, purtroppo, sembra non voler più prendersi troppo sul serio.
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