Regia di Guillermo Del Toro vedi scheda film
Venezia 74. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
Non credo di parlare a sproposito nel definire Doug Jones l'alter-ego del regista messicano Guillermo del Toro, autore che abitualmente incarna nel proprio attore feticcio le sue più intime paure e quel forte senso di precarietà che incombe sulla testa degli uomini. Dopo gli iconici mostri interpretati nel "Il labirinto del fauno" e gli eroi di "Hellboy" stavolta Jones è un essere antropomorfo dalla pelle verdognola e squamosa rinchiuso all'interno di una vasca paludosa nei sotterranei di un ente governativo americano ove un manipolo di scienziati cerca di studiarne "la corazza" per fini puramente militari. Siamo in piena guerra fredda, precisamente nel 1962, e Del Toro esce per una volta dalla Spagna franchista per addentrarsi nel tessuto sociale, culturale e ideologico degli Stati Uniti abbacinati dal rischio nucleare. La creatura di cui riveste i panni Doug Jones, che omaggia la celebre sorella apparsa nel film del '54 "Il mostro della laguna nera" di Jack Arnold, è l'incarnazione perfetta "dell'angoscia da invasione" diventata endemica dopo la celeberrima trasmissione radiofonica di Orson Welles del '38, riacutizzata dall'attacco giapponese a Pearl Harbor del '41 e diventata pura psicosi con l'episodio della Crisi missilistica cubana, vero e proprio apice mediatico della tensione tra Usa ed Urss. Non a caso Del Toro sceglie questa stagione per raccontare il rapporto tra la creatura ed una ragazza muta (Sally Hawkins) che lavora come sguattera nei luoghi oscuri ove il mostro è incatenato. L'incontro segna per sempre la vita di entrambi in un momento storico segnato dalla costante paura della diversità razziale, sessuale oltre che ideologica. I personaggi ideati dal regista insieme a Vanessa Taylor rappresentano bene queste ansie, ed, in termini di resa, sono fondamentali per arricchire una storia tutto sommato senza picchi di originalità.
Mentre Richard Strickland (Michael Shannon), che si trova a capo della task forse di studiosi e militari, incarna naturalmente l'elite wasp, Zelda Fuller (Octavia Spencer) deve lottare contro le prevaricazioni di un marito misogino, come se non bastasse la dura realtà dei pregiudizi razziali a cui deve far fronte quotidianamente. Giles (Richard Jenkins) ai pregiudizi è mestamente abituato per le sue inclinazioni sessuali ma l'impossibilità di lavorare, che questo comporta, risulta difficile da accettare, per cui il suo unico appiglio alla vita resta Elisa, la dolce protagonista vicina di casa. Infine il dottor Hoffstetler (Michael Stuhlbarg), emerito professore e studioso, più interessato al bene del mostro che a passare informazioni ai compagni sovietici, veste alla perfezione le sembianze del "pericolo comunista" che il maccartismo aveva tentato di sradicare pochi anni prima.
Per questo suo lavoro Del Toro sceglie atmosfere claustrofobiche e dark in cui predominano una fotografia dai toni scuri, colori freddi ed il verde smeraldo. L'elemento acquatico esercita un grande fascino nelle sue varie esibizioni: vaso di Pandora contenitore di paure e pregiudizi (la piscina artificiale); doloroso preannuncio di morte (la pioggia torrenziale); veicolo travolgente di piacere e di trasporto emotivo (la vasca da bagno, la toilette inondata); strumento salvifico (l'oceano).
Il cinema di Del Toro è fatto di simboli, si sà. Oltre all''acqua, l'uovo, che ogni mattina Elisa prepara metodicamente in una sorta di rito atemporale, ci parla della perfezione, della rinascita, dell'immortalità. L'acqua e l'uovo, l'uovo e l'acqua. Tutto ha inizio e tutto ha fine nell'abbraccio tra queste due forme, tra questi due elementi, l'acqua che cade al suolo lasciando al nascituro il tempo del primo vagito, l'uovo (la cellula embrionale) che cuoce (cresce?) pian piano nell'acqua del pentolino (l'utero materno?), l'acqua che avvolge gli amanti in un abbraccio di luce immortale dalla forma, neanche a dirlo, ovoidale.
I simboli che Del Toro mutua dalla tradizione cristiana (mentre nel Labirinto del Fauno era più che altro debitore della cultura esoterica), ci precedono indicandoci la via verso la meta di questa storia d'amore in cui il regista predilige toni favolistici ai toni horror, marchio di fabbrica della sua carriera; dove la tensione non è avviluppata esclusivamente alle rare scene splatter ma fuoriesce dalle pieghe della narrazione e dello status emotivo dei protagonisti.
Del Toro plasma il suo cinema allegorico all'interno di nuove scelte narrative (la love story) restando, tuttavia, fedele ai suoi archetipi cinematografici (la commistione dei generi, l'uso del flashback, il simbolismo). Forse calca troppo la mano
sui caratteristi che tendono a togliere spazio alla protagonista tanto che in certi momenti di "stanca" si spera che Octavia Spencer giri l'angolo per sciorinare qualcuna delle sue esilaranti perle che la povera Elisa non può pronunciare. Ma in genere il risultato è molto buono anche se vedo nel suo ultimo lavoro una certa (sacrosanta) voglia di uniformarsi alle esigenze del mercato Usa che da anni lo nutre, cercando di monetizzare il successo del famoso prototipo "Il labirinto del fauno". Insomma Del Toro ha scelto di uscire dalla nicchia che si era creato per abbracciare un più ampio consenso di pubblico con una storia più semplice benché passibile di svariate e più profonde letture e con personaggi più standardizzati ma ammiccanti. Dalle esclamazioni di felicità, in sala stampa, all'annuncio del Leone d'Oro, sembra che il suo scopo sia stato raggiunto, salvo poi aspettare il responso del pubblico che sarà di certo incentivato dalla "pioggia" (ancora acqua dunque) di nominations e il probabile Oscar al miglior film.
In questa piccola disamina non posso, infine, tralasciare il bellissimo messaggio veicolato dal film che ci racconta una storia d'amore che va oltre l'aspetto, oltre la diversità, e che sprona semmai ad abbandonarsi nella diversità altrui. L'accettazione passa per la conoscenza, e quest'ultima ci alleggerisce della paura, perché non è necessario sbarazzarsi di chi vive ai margini e non ci assomiglia, con la brutalità con cui si mozzerebbe un dito incacrenito, per liberarsii delle ansie e dei pregiudizi. Un significato di tolleranza e meraviglia estremamente prezioso.
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