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A Star Is Born

Regia di Bradley Cooper vedi scheda film

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La recensione su A Star Is Born

di M Valdemar
3 stelle

Un film che parte come un pezzo di Stevie Ray Vaughan e finisce con un'atroce lagna alla Celine Dion (I'll never love again, da rogo. O da suicidio …). Nasce live e affoga in un talent. In mezzo la trasformazione in/di Lady Gaga. Che sì, ci è passata. Che pensata. Meta-qualcosa portami via. Che originalità.

 

locandina

A Star Is Born (2018): locandina

 

 

 

 

Lady Gaga è bruttina. No, è bellissima.

Bradley Cooper è un gran figo, bello e dannato. Ma è un irresponsabile alcolizzato e tossico. Deve morire.
La storia è sempre la stessa, raccontata continuamente, in eterno. Però dipende da come la racconti.
Le canzoni sono carine, delle hit. Con un'anima.
A star is born è un classico fim da incasso. Tanto carino. Punta dritto al cuore. E come le dice le cose che deve dire …

Ok, non si esce dalla banale, immediatamente decodificabile dualità in cui è circoscritto l'esordio registico di Bradley Cooper, alle prese con l'attualizzazione dell'omonima opera del 1937 (e siamo alla quarta versione).
Non si esce dal confortevole, tombale recinto che racchiude ettari di cliché, sche(r)mi e stereotipi sull'archetipica pagina del pigmalione: l'artista maledetto, il cowboy tormentato che scopre una dame talentuosa “salvandola” da un'esistenza anonima già avviata sul viale dei rimpianti.
Piccoli, ben mirati accorgimenti anche di politicamente corretto (nel locale in cui si esibisce la futura star i numeri sono tutti per simpaticissime drag queen; le visualizzazioni su youtube; il rehab; il Saturday Night Live) fungono da furbastra cortina di ammodernamento a un prodotto irrimediabilmente vecchio.
Antico, consunto, unto degli umori tossici di un filo paternalistico-patriarcale che lega e avvolge l'intero rapporto sentimentale tra l'uomo (un uomo “vero”, eh, gesùcristo rock 'n' roll) e la donna bisognosa (d'essere scoperta, d'essere amata, d'essere protetta, sempre e comunque).
Fino all'ultimo. Pensate all'atto sacrificale, fuori campo, pienamente dentro il didascalismo ricattatorio più facile.
Ma grazie per la libertà concessa, grazie.
Il problema non è Lady Gaga (bravina; bravina, sì, ma da qui a erigerne un monumento come certuni fanno manco fosse un magico incrocio tra Barbra Streisand, Katharine Hepburn e Ginger Rogers ce ne corre, per tutti i Die Antwoord che bellamente la sfottono!); il problema non è Bradley Cooper davanti lo schermo (un incrocio tra Eddie Vedder, il Boss e Jim Morrison, sorprendente come musicista, occhio lucido e look trasandato-chic d'ordinanza); e nemmeno lo sono l'aspetto sentimentale e quello musicale-divistico (carine pure le riprese “live”, esattamente come ci si aspetta che siano).
In A star is born regnano un'insopprimibile piattezza (di contenuti, di idee e accordi ideologici, di forma, di rappresentazione, di personaggi), un rozzo schematismo, un incessante, irritante ronzio che anticipa modelli narrativi e ritornelli introspettivi.
Prevedibile come un brano pop-dance-rap da classifica, iperprodotto e sovrainciso con l'ausilio dei migliori in circolazione, glamour e maledettismo disseminati per raccogliere l'ennesimo ammicco … Che palle.
Un film che parte come un pezzo di Stevie Ray Vaughan e finisce con un'atroce lagna alla Celine Dion (I'll never love again, da rogo. O da suicidio …). Nasce live e affoga in un talent. In mezzo la trasformazione in/di Lady Gaga. Che sì, ci è passata. Che pensata. Meta-qualcosa portami via. Che originalità.

Solo due cose da salvare.
La prima. La quasi reunion di Alias, intanto. Un colpo al cuore vedere nello stesso spazio filmico Greg Grunberg (l'autista “stalker”) e Ron Rifkin (lo psicologo, o quel che è, al rehab) assieme a Will Tippin/Bradley Cooper. Mancavano soltanto Jennifer Garner e una fottuta profezia catastrofica di Rambaldi.
La seconda. Il paio di battute-verità che Cooper mette in bocca a sé stesso. Quando apostrofa Ally/Lady Gaga «imbarazzante» perché si comporta da vera star di oggi, con tanto di coreografie, ballerine, basi dance eccetera (peccato che alla cosa non si dia seguito … chissà qual è il target del film …); e lo scherno sui calzini-fantasmini degli uomini, obiettivo non a caso il manager stronzo.

Giusto per trovare qualcosa. Qualcosa.
Mentre i titoli di coda scorrono, lagna su lagna, e inevitabile il pensiero corre a quale disco mettere in macchina di ritorno a casa – se i Napalm Death o i Joy Division o i Sentenced – per avere salva l'anima.



[Shallow è carina, dai; bel ritornello, belle voci, begli accordi. Ci sta]


[questa cosa evoca violenze indicibili e strazi innominabili. Prego]



 

 

 

 

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