Regia di Bradley Cooper vedi scheda film
Fuori dal tempo, da ogni passato, presente o futuro, è per l'universalità della vicenda A Star is Born di Bradley Cooper. Prima di parlare del film in sé, occorre sottolineare come, cinematograficamente parlando, mala tempora currunt. Prima e dopo la proiezione riservata alla stampa, mi è capitato di ascoltare gente che non aveva mai visto nessuna delle tre precedenti versioni dell’opera o che, a visione avvenuta, la bollava come una stupida love story. Chi per professione si appresta a vedere un film si deve presentare preparato sull’argomento e, nei casi di remake, vedere almeno l’originale per farsi un’idea dei cambiamenti voluti da un regista in corso d’opera. A Star is Born nasce da un soggetto di ferro che nel 1938 ha regalato un premio Oscar alla prima versione del film diretta da William A. Wellman, che firmandone la sceneggiatura ha attinto da una precedente opera cinematografica (A che prezzo Hollywood, diretto da George Cukor nel 1932). Il successo del film fece sì che nel 1954 Cukor si riappropriasse della sua idea iniziale e ne proponesse una nuova versione affidandola all’allora lanciatissima Judy Garland, chiamata a ricoprire lo stesso ruolo che Wellman aveva assegnato a Janet Gaynor. Ne venne fuori un’opera entrata nella storia del cinema, in grado di guadagnarsi ben sei nomination ai premi Oscar. Il soggetto, considerato dall’industria hollywoodiana immarcescibile, nel 1976 venne poi rivisto da Frank Pierson che, grazie all’interpretazione di Barbra Streisand, si porta a casa un Oscar per la miglior canzone e altre tre nomination. Dietro a cotanto passato, nessuno si accosterebbe alla visione dell’opera impreparato.
Un ulteriore cenno va fatto anche per coloro che criticano la scelta di Lady Gaga come protagonista. Un critico un tempo tenuto in considerazione e oggi decaduto, asserisce che chiamare Lady Germanotta a interpretare il ruolo di una giovane cantante che cerca il successo è come chiamare Matteo Salvini a interpretare il giovane Berlinguer. Al critico viene semplice rispondere che prima di essere Lady Gaga, la cantante di origini americane – nota per i suoi stravaganti look – è stata una semplice ragazza che dal nulla ha cercato il successo. Ciò che si perdona agli uomini che si sono fatti da soli, evidentemente non viene ancora perdonato alle donne. È triste constatare come l’avercela fatta rappresenti una colpa da espiare: la maggior parte delle critiche al film, ci scommettiamo, saranno incentrate su Lady Gaga non all’altezza della situazione. In barba ai giudizi che verranno, chi vi scrive vi racconta invece di un’attrice esordiente che non fa certo rimpiangere la Gaynor e la Garland e che, per poche sfumature, rimane al di sotto della Streisand, vero mite vivente. La stessa Streisand sul set di A Star is Born ha contribuito a dare consigli alla cantante, tanto che molte scene non possono che far venire in mente la versione del 1976 del film.
Tornando all’opera di Cooper, regista e protagonista, a grandi linee racconta la storia tra due cantanti, uno in declino e una in ascesa, che per volontà del destino si incontrano e condividono la loro strada per un tratto. Il sentiero che insieme percorrono è segnato dai problemi di lui (rapporto irrisolto con il padre e con il fratello, abuso di alcol e sostanze stupefacenti, un tentativo di suicidio alle spalle e sofferenze all’udito, acuite in seguito dall’acufene) e dal talento di lei, che come una rosa sboccia e pian piano mostra i suoi petali. Fermamente coinvolto dalla forza del soggetto, Cooper mette in scena un dramma musicale moderno, dove le canzoni finiscono con il divenire parte essenziale della sceneggiatura: ognuna, con il suo stile diverso e il suo arrangiamento, comunica stati d’animo e snodi di racconto, senza soluzione di continuità. Il regista sceglie di non nascondere nulla della realtà artistica dei protagonisti. Alcol e droga non vengono taciuti. Fatica e sacrifici per emergere non sono edulcorati. Costruzione a tavolino dei successi e dicotomia tra vita pubblica e privata non sono bypassate. In una sequenza durante la cerimonia di galà dei Grammy Awards, non si può non pensare quanto spesso l’arte (e la musica che con gli anni sembra aver preso il posto della pittura) sia perseguita dalla maledizione del talento, del genio e della sregolatezza: l’ombra di Amy Winehouse ad esempio è dietro l’angolo. Il rehab non sempre è la soluzione del mal di vivere e le bugie, soventi assurte come salvatrici, non sempre sono in grado di adempiere al ruolo di aiutanti. Bravo, come si sarebbe detto un tempo.
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