Regia di Chris Gerolmo vedi scheda film
E' un film da rivalutare, e subito. Ha i limiti di un'opera lontana dal mainstream, ma proprio per questo ha una libertà e una forza visiva che la rendono intimista e personale. Il mostro di Rostov forse è un pretesto, forse no, ma sicuramente non è la solita caccia al serial-killer violento e spietato. Qui abbiamo case fatiscenti, done vecchie e povere che piangono ffigli massacrati, una dilagante povertà che va a pari passo con l'ignoranza e la presunzione arrogante di un regime. Perchè il regime è ignoranza, è povertà, è presunzione, è arroganza. E come in tutti i regimi esistono anche piccoli uomini capaci di sovvertirli, di ribaltarli, perchè animati da una passione e da una lealtà che solo nella relazione con l'altro trova la sua leggibilità. E' quello che accade ai due straordinari protagonisti: Donald Sutherland e Stephen Rea.
Il regista Gerolmo, autore di quel grandioso "Mississippi Burning" che è alle radici della mia affezione al cinema e a Gene Hackman, sa dove mettere la mdp e sa come muoverla. Sa cosa inquadrare. Sa bene che un prato triste della campagna russa, se catturato nella sua desolazione, con un piccolo uomo dal volto triste che guarda il cadavere di un giovane ragazzo, può avere effetti estetici disarmanti e condurre lo spettatore non nella follia del serial-killer (come ne "Il Silenzio degli Innocenti"), ma nella tristezza di una terra maledetta. Quella di un regime.
Qui si tratta di comunisti, ma possono essere tranquillamente i fascisti, i nazisti, i talebani, i bushiani di oggi o i forzisti e leghisti nostrani. Perchè là dove c'è un regime c'è paura e tristezza. E Donald Sutherland, che come al solito è il gigante del film da cui non puoi e non riesci a staccare lo sguardo, ne rappresenta le ambiguità, i contrasti e il conflitto morale.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta