Regia di George Stevens vedi scheda film
Shane è l'eroe di cui gli Stati Uniti hanno un disperato bisogno, ma alla fine non meritano, poichè è troppo elevato per la becera società americana. Il Cavaliere della Valle Solitaria di George Stevens (1953), titolo altisonante italiano al posto di un molto più sobrio Shane (il nome del protagonista); è un wester dalla vicenda iper-classica consistente in uno straniero che arrivando nel Wyoming, difende i fattori dai sopprusi del ricco allevatore Ryker, il quale vuole cacciarli dalla valle per far pascolare liberamente la propria mandria.
L'elemento innovativo principale risiede nella figura di Shane (Alan Ladd), misteriosa figura archetipa di eroe a cavallo che giunge dall'esterno e con un passato oscuro quanto imprescrutabile, per sconvolgere lo status quo del luogo in cui temporaneamente dimora per poi andarsene via senza molte spiegazioni lasciando così un'aura di msitero.
La figura del protagonista è stata criticata da alcuni in tempi recenti ma a torto, se cercate il classico eroe macho e tutto di un pezzo girate altrove, Shane non vuole apparire e nè al suo interprete Alan Ladd interessava essere carismatico nel modo classico in cui tale termine s'intende; Shane spesso nelle inquadrature di Stevens a cavallo è inquadrato in controluce ed in campo lungo, quando invece è con i fattori della valle, spesso è in secondo piano dietro le spalle di Joe Starrett (Van Heflin), uomo che è una sorta di guida per gli abitanti della vallata e di sua moglie Marian (Jean Arthur al suo ultimo ruolo per il cinema).
Shane è una persona molto silenziosa che lascia volentieri la prima fila agli altri, limitandosi ad essere una sorta di coscienza e consigliere morale per i fattori, più che l'ispiratore delle loro azioni, cercando di lasciare la libertà di scelta nelle loro mani.
Tutto questo però non fa di Shane un personaggio fiacco; ma attribuisce alla sua figura un grande fascino ed una grande originalità che contribuisce di riflesso a renderlo carismatico. Il punto di vista adottato è quello del figlio di Starrett, Joey (Brandon De Wilde), piccolo ragazzino che in apparenza per i detrattori è l'elemento buonista del film, ma ad un'attenta analisi è la figura che assume su di sè una forte carica di pessimismo.
Joey sin da subito ammira Shane e lo vede come un eroe di cui un giorno sogna di emularne le gesta e per il momento si limita a giocare con il suo fucile simulando battaglie fantastiche e sparatorie adrenaliniche; la realtà è ben diversa, quando Shane per la prima volta mostra la sua abilità con la pistola, Joey resta impietrito per la paura derivante dal rumore fortissimo dello sparo, per poi poco dopo restarne estasiato e ammirato. Shane incarna un nuovo tipo di eroe western, una figura problematica ineriormente e con dei fortissimi tic ogni qualvolta sente il metallo di un'arma da fuoco; un personaggio fortemente pacifista, forse una figura ultraterrena (un'ex soldato suddista morto durante la guerra forse?) provieniente da un'Eden verde e rigoglioso come quello delle magnifiche montagne inquadrate in lontananza, a cui è stata concessa una seconda possibilità di riscatto, portando nella valle per il momento ancora brulla ed aspra ma in potenza un possibile nuovo Eden se alla comunità di fattori fosse consentita di lavorare in pace.
Shane detesta fortemente le armi, preferendo per gran parte del film misurarsi con gli uomini di Ryker a suon di pugni e calci (beccandosi qualche botta anche lui), ma alla fine una società basata sulla violenza e sulla sopraffazione (Ryker assolda un fortissimo pistolero di nome Wilson, ex-reduce del nordista), non può che farlo recedere dal proposito, poichè per diferendere i valori dei fattori della vallata, deve risolvere alla fine il tutto all'americana con un classico duello finale messo in scena con molti angoli di ripresa, dove la macchina da presa conferisce alla figura di Shane un'aura mitologica dilatando e distendendo i tempi precedenti il duello finale.
Il duello tramite colpi di pistola che tanto affascina Joey, viene brutalmente smitizzato da Shane, il quale dà un'importante lezione morale al ragazzo (e a noi spettatori), il vero guerriero non è quello che risolve i conflitti abbassandosi ad usare un'arma da fuoco, poichè finisce con il commettere un vile omicidio.
Con questa massima di pensiero un western superficialmente classico fino al midollo assume toni molto crepuscolari e viene minato fortemente nella sua natura eroica, diventando di lì a poco un genere che lungi dal celebrare l'eroismo della frontiera, metterà invece sempre più brutalmente in scena i conflitti mai sopiti di una giovane nazione come gli Stati Uniti nati e sciluppatas dal sangue e dalla violenza, non a caso il duello finale tra Shane e Wilson seppur non venga mai detto esplicitamente, è uno scontro tra sud e nord che per Griffith è stato il momento cardine in cui è nata la nazione Americana.
La pellicola di Stevens assume quindi una forte valenza sociologica, con un contrasto tra una visione rapace ed arraffona come quella di Ryker che pensa ancora di poter allevare il bestiame negli spazi sconfinati (un modello scriteriato, poichè non consente di massimizzare il bestiame) ed il capitalismo terriero dei fattori che invece selezionando e sviluppando la loro proprietà, si affacciano verso un'economia industriale e di mercato, che diverrà la spina dorsale dei valori e dello sviluppo americano.
Shane in tutto questo è un eroe classico fuori dal tempo, la cui seconda possibilità di vita imparando dai propri errori passati viene nel finale brutalmente negata, tanto che alla fine il piccolo Joey probabilmente non ha imparato nulla della lezione di Shane, poichè diventando adulto probabilmente diverrà un grande proprietario terriero del Wyoming, che nei Cancelli del Cielo di Michael Cimino (1980) decreterà le liste di proscrizione nei confronti degli immigrati europei accusati di rubare il bestiame e di portare scompiglio della vallata, ma in loro soccorso non verrà alcun Shane, perchè quest'ultimo è morto per aver creduto ingenuamente di poter sopprimere la natura intrinsecamente violenta del popolo americano.
Costato 1,5 milioni, il film incassò ben 20 milioni con ottime critiche sia dalla stampa americana che da quella francese dell'epoca che lo definì il miglio western sino a quel momento, ottenendo ben 6 nomination oscar, tra cui miglior film ,regia e attori non protagonisti (De Wilder e Palance), ma vincendo solo per la splendida fotografia a colori di Griggs, venendo sconfitto dal film antimilitarista di Fred Zinnemann Da Qui all'Eternità. Negli USA la sua fama non è diminuita, tanto che è considerato il miglior film western dopo i capolavorici Sentieri Selvaggi di John Ford (1956) e Mezzogiorno di Fuoco di Fred Zinnemann (1952), qualche critico dalla aprte opposta della sponda dell'Atlantico tende a sminuirlo; è vero che c'è qua e là qualche lungaggine di troppo (marchio di fabbrica di Stevens, che producendo il film aveva potere sul montaggio), però la sua enorme influenza su tutto il cinema western successivo è innegabile a cominciare dai film di Leone (il duello finale sarà la base di partenza concettuale per tutti i duelli degli spaghetti western del regista romano) e di Clint Eastwood (ma anche i Trinità con Bud Spencere e Terrence Hill); anche John Ford dovrà scendere a patti con l'innovazione apportata dai film di Stevens e Zinnemann, confezionando con Sentieri Selvaggi il suo miglior film.
Film aggiunto alla playlist dei capolavori : //www.filmtv.it/playlist/703149/capolavori-di-una-vita-al-cinema-tracce-per-una-cineteca-for/#rfr:user-96297
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