Regia di Na Hyeon vedi scheda film
Far East Film Festival 19 – Udine.
The prison è un action-thriller-drama sudcoreano condizionato fortemente da un paradosso che a un attento cinefilo difficilmente può passare inosservato. Trattasi infatti dell’esordio alla regia di Na Hyeon, in precedenza già noto per la sua attività di sceneggiatore e proprio nella scrittura risiedano le principali – e fin troppo macroscopiche – falle del film che, per il resto, sarebbe pure una sorta di blockbuster sudcoreano, esplosivo e corposo in fatto di movimento, come piace al pubblico dei grandi numeri.
Busan, 1995. Yoo-Gun (Rae-won Kim) è un ex poliziotto arrestato per corruzione, che in prigione viene subito preso di mira per i suoi trascorsi. Grazie alla sua tempra fisica e caratteriale, è però destinato ad acquisire popolarità, finendo per diventare un uomo di fiducia di Ik-ho (Seok-Kyu Han), la cui sfera di influenza non esaurisce tra le mura del carcere.
Infatti, lui e i suoi uomini possono uscire indisturbati ogni notte, portare a compimento azioni criminali che spaziano tra rapine milionarie e uccisioni scientificamente programmate, e anche scegliere chi posizionare negli incarichi di comando. Qualcuno però non ha più intenzione di assistere in silenzio ai suoi soprusi di potere.
Sulla carta, The prison avrebbe tutte le carte in regola per coprire due ore abbondanti di spettacolo, rimodulabile tra azione concitata, corpo a corpo violenti, piani da heist movie e caratteri tosti, destinati a produrre colluttazioni su più livelli.
Forse per colpa di un eccesso di sicurezza, Na Hyeon ne depotenzia le possibilità perseguendo un modello narrativo teoricamente ampio ma in pratica esageratamente rigido, incapace di creare continuità espositiva, con anche alcuni buchi neri e l’aggravante di offrire il peggio di sé proprio sul finale, lungo il quale esagera nel ritardare l’ultima dissolvenza, senza che ce ne fosse alcuna necessità.
Se non altro, funziona molto meglio come puro prodotto di puro consumo, al netto di finire sfiancati dallo script. Infatti, l’adrenalina è profusa senza alcun tipo di economia, i muscoli sono mostrati senza paura (a livello metaforico, s’intende), almeno una manciata di salti sulla poltrona sono garantiti, anche usufruendo di tutti gli artifici sonori per riuscirci, mentre il sottobosco di corruzione e l’impossibilità di gestire la legge con rigore, regala anche un filo di amarezza che la società condivide.
Dunque, The prison presenta pregi e difetti piuttosto eloquenti, con la bilancia a pendere, seppur di poco, sul versante negativo, perché alcune leggerezze di Na Hyeon sono imperdonabili, soprattutto pensando che chi dirige è anche lo sceneggiatore e che tutto quanto doveva essere qualitativamente più a rischio – estetica, costruzione delle immagini ed elementi di compendio – riesce a divincolarsi senza particolari ansie.
Chi è causa del suo mal, pianga se stesso.
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