Regia di Nobuhiro Yamashita vedi scheda film
Far East Film Festival 19 – Udine.
«L’uomo saggio evita il pericolo».
Nel caso in oggetto, lo zio che dà il titolo al film diretto da Yamashita Nobuhiro, qualsiasi scusa è buona per raggirare ogni sorta di responsabilità, almeno fin quando non sbuca fuori dal nulla la donna dei sogni (e comunque ci vuole ancora del tempo prima che ne imbrocchi mezza).
Fin quando My uncle sceglie scientemente di non evolversi, ricercando esclusivamente una prolifica continuità dell’umorismo, rientra a pieno titolo nella ristretta lista di pellicole che fanno un gran bene all’umore, peccato che un cambio di scenario, più che di rotta, lo trasformi metaforicamente in un gambero, per cui invece di trovare una chiusura all’altezza e in crescendo finisca con il compiere più di un passo indietro.
Alle prese con la difficile scelta di un elemento della sua famiglia cui dedicare un tema, il piccolo Yukio (Riku Ohnishi) opta infine per suo zio (Ryuhei Matsuda), un fannullone perso nel più classico dolce far niente.
Almeno è così fino a quando l’uomo, maturo solo per l’anagrafe, incappa nell’avvenente Eri (Yoko Maki) e, per poterla rivedere, deve trovare un modo per andare alle Hawaii.
Ancora una volta, spetterà a Yukio sistemare le cose ma, arrivati sull’isola dei sogni, il passo decisivo non può che toccare a quel debosciato di suo zio.
Così come per il tema di Yukio è un soggetto vincente, il protagonista è una vera manna scesa dal cielo per il film di Yamashita Nobuhiro, un pozzo senza fondo di opportunità, che permette di inanellare una sequenza di gag tale da allietare lo svolgimento, almeno per buona parte della sua durata.
Tra manga e filosofia, gatti e citazioni rimodulate a suo vantaggio, canne, lattine di bibite prese solo per i buoni che contengono e birre, sembra non esserci freno al sarcasmo e, più in generale, a una comicità di carattere espansivo che annienta ogni difesa del malumore.
In più, questo zio spiantato, si combina alla perfezione con la limpidezza innocente del nipote e un po’ con tutto il contorno offerto, proprio per la sua indole così fuori dal coro, autodistruttiva nella sua evidente ipocrisia conservativa. Un’iperbole continua che comincia a evidenziare segni di cedimento in corrispondenza della trasferta hawaiana, rischiando d’incagliarsi completamente proprio a un metro dal traguardo.
Un appannamento che ridimensiona il valore complessivo, uno sbilanciamento visibile a occhio nudo che rischia di modificare la percezione, per quanto il regalo più bello rimanga indissolubile, con un’ora abbondante dotata un’immediatezza così esuberante da non potergli resistere.
Quando sei a un solo numero dal fare tombola e nel frattempo escono tutti gli altri.
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