Regia di Giuseppe Taffarel vedi scheda film
Quattordici minuti scarsi di immagini impietose, con un commento (di Roberto Natale, usuale collaboratore del regista) laconico, che descrive la brutalità del filmato pur senza calcare la mano sul lato patetico. L'argomento: la dura giornata lavorativa di una coppia di contadini sulla sessantina nella Valsugana, alla disperata ricerca di un terreno coltivabile da cui ricavare, con la debita fatica, quanto serve per vivere. Nell'Italia del 1963 tutto questo stava diventando anacronistico, ma ancora si poteva vedere; oltre mezzo secolo più tardi sembra addirittura preistoria. Giuseppe Taffarel è stato autore di una manciata di cortometraggi di stampo essenzialmente neorealista (la cruda realtà interpretata da attori presi dalla strada), a cavallo fra documentario e fiction, ambientati di preferenza nelle zone da lui conosciute e amate, cioè quelle delle Dolomiti, del Grappa, dell'alto Veneto, del Brenta. In questo caso l'impresa sovrumana ricorda quella che narrerà qualche anno più tardi un cineasta molto affine a Taffarel, ma attivo nel sud Italia, cioè Elio Piccon nel suo Il campo (1968), nel quale si tenta di convertire una palude in terreno coltivabile semplicemente gettandovi innumerevoli secchiate di terra, senza sosta. 6/10.
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