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Extraordinary Mission

Regia di Alan Mak, Anthony Pun vedi scheda film

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La recensione su Extraordinary Mission

di supadany
7 stelle

Far East Film Festival 19 – Udine.

«Non avere paura di svegliarti da un incubo, ricorda solo chi sei».

Il popolare regista originario di Hong Kong Alan Mak - amatissimo in ogni lido per essere l’autore del trittico Infernal affairs - in coppia con il direttore della fotografia Anthony Pun (Connected, Il regno di Wuba) intelaia una pellicola autoritaria, che sa gettare solide basi narrative per poi scatenare un implacabile inferno action.

Giunti a questo punto, gli autori non hanno badato a spese per realizzare sequenze mozzafiato - girate per lo più on stage (scelta coreografica che ripaga) - tali da far passare in secondo piano la discesa libera della verosimiglianza.

Dopo aver trascorso tre anni sotto copertura, Lin Kai (Huang Xuan) comincia ad avvicinarsi ai piani alti del traffico di droga, al punto di sopravvivere all’annientamento del gruppo in cui era inserito. Arrivato a un passo dalla morte, riesce a entrare in contatto con Aquila (Duan Yihong), un leader disumano e sospettoso, l’obiettivo massimo della sua missione.

Per giunta, Aquila è legato a doppio filo al detective Luo Dongfeng (Zu Feng), con un passato che reclama vendetta in entrambe le direzioni.

 

scena

Extraordinary Mission (2017): scena

 

Pur senza produrre l’effetto detonante che ebbe nel 2004 il primo Infernal affairs, Extraordinary mission è realizzato con coscienza e quindi idee limpide.

Parte riprendendo un’idea rodata, che prevede un agente infiltrato coinvolto in una missione straordinaria, pianifica i personaggi salienti creando uno stuolo di motivazioni fondanti, dà l’idea di un climax continuativo per poi esplodere nell’azione più frenetica.

Ciò non vuol dire che si parta piano anzi, nemmeno il tempo di essere calati nel buio della notte e dei traffici illeciti ad alto quoziente remunerativo, e la visuale è tutta rivolta a un inseguimento in automobile con stunt elettrizzanti, di una qualità tale da far invidia ai più noti colossi americani.

Più in generale, Alan Mak osserva da una distanza ravvicinata il percorso della talpa, impegnata ad acquisire fiducia, studiare ogni mossa, stabilendo rapporti di fiducia per poi sopravanzare allo step successivo, ovviamente sempre guardandosi le spalle dalle insidie che possono sbucare in un batter d’occhio.

Seguendone il percorso, il film stesso tende a spostare sempre più in là i suoi limiti, affidandosi a due distinti scenari – la grande città e un piccolo centro sperduto nella foresta – con i suoi protagonisti impegnati a risalire la corrente della piaga della droga nonostante le minacce di orsi dal grilletto facile visto che, solo arrivando al punto più alto, c’è come premio la possibilità di sfidare il nemico giurato.    

Ovviamente, sono presenti anche alcune aggiunte laterali, come il duro prezzo da pagare per iscriversi al gruppo dello spaccio internazionale e i metodi di smistamento di droga e denaro da riciclare, inserite in un procedimento privo di un qualsiasi momento di stanca, nemmeno apparente, ma soprattutto, negli ultimi venti minuti, fotografia e montaggio diventano due vasi comunicanti. Uno spettacolo in movimento che diventa suntuoso e perfettamente sincronizzato, prendendosi senza timori la licenza di posizionare ciò che serve sulla scena, come per esempio una moto, nei punti esatti per dare massima continuità all’azione, accettando di perdere in veridicità, ma elargendo ingenti dosi di adrenalina.

Dunque, dal punto di vista action si raggiunge il gotha tanto agognato dal pubblico di tutto il mondo – a fine aprile 2017, Extraordinary mission ha già incassato oltre cento milioni di dollari al botteghino cinese – mentre al di là dei conflitti e di risoluzioni che non intendono salvare capre e cavoli mettendo in atto l’arte del sacrificio, l’ultima parte rischia di apparire involontariamente comica e parzialmente reazionaria. Fortunatamente, la furia del contesto ci mette una bella pezza e l’insieme mantiene una sua logica, anche quando la struttura narrativa perde in lucidità.

Adrenalinico, al punto di generare un vortice nel quale rimanere risucchiati fino all’ultimo fotogramma.   

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