Regia di Han Han vedi scheda film
Far East Film Festival 19 – Udine.
Mettere in contatto uomini e donne di mondi e realtà differenti, offre un ampio spazio di manovra, costituendo un ottimo modello per garantirsi una proficua base di lavoro. Da questa ideale congiunzione prende linfa Duckweed, con cui il regista Han Han dà libero sfogo alle varie espressioni della comicità, senza per questo relegare a mero espediente narrativo la ricerca di un costruttivo rapporto tra figli e genitori.
Xu Tailang (Chao Deng) ha un pessimo rapporto con il padre, l’unico genitore rimastogli fin dalla tenera età, quando sua madre morì. A causa di un incidente stradale, nato da una distrazione dovuta a un momento di rabbia, Xu si ritrova a combattere tra la vita e la morte in un letto di ospedale, ma anche catapultato nel 1998, proprio nel periodo in cui i suoi genitori si avviavano verso il matrimonio.
Così, ha l’occasione per conoscere sua madre, ma la sua intromissione potrebbe ribaltare il futuro, tanto più quando crede che suo padre sia intenzionato a sposare un’altra donna.
Duckweed si sviluppa parafrasando Ritorno al futuro, pur senza condividerne il meccanismo a orologeria, prediligendo di gran lunga il punto di vista comico, ma lasciando comunque l’adeguato interstizio per collegare a livello di significato il salto dal presente al passato.
Non è questione di pura logica, nemmeno di fantascienza, ma di scoperta e condivisione, maturate attorno ai rapporti tra un figlio e i genitori, nella fattispecie verso il padre con cui da sempre dominano astio e incomprensione e la madre mai conosciuta.
Chiaramente, è nel traliccio del paradosso temporale che tutto acquista identità così che, subito dopo un inizio serioso e poco promettente, prende corpo un percorso originato dalla sospensione tra la vita e la morte, in quell’attimo in cui dicono scorra tutto davanti agli occhi, tra gli amori sbocciati e cestinati, così come la passione per le auto e le corse.
Tornato indietro nel tempo, per Xu è tutto diverso rispetto a quanto poteva immaginare e lo stesso dicasi per lo spettatore che finisce catapultato in una commedia con al centro un’improbabile banda di inetti, uno scambio di persona che potrebbe far crollare il futuro del protagonista e, più in generale, una serie di incomprensioni ed equivoci consoni a un gruppo di perfetti imbecilli e quindi propedeutici alla generazione di spunti comici. Ovviamente, sono preventivate anche le occasioni per sondare il terreno dei dettagli di costume, con discussioni paradigmatiche su cosa potrà avere successo o meno nel futuro – chiaro che i protagonisti tutt’altro che lungimiranti non ne azzecchino mezza nemmeno per sbaglio - ma il nocciolo è sempre attaccato alla polpa del legame di sangue.
Su questo aspetto, Han Han esegue uno spartito suonato al ritmo di gag spiritose giocate su una stupidità tendente al non sense, con una struttura snella che tende a non eccedere nelle divagazioni, tirando dritto con decisione, subito dopo la svolta iniziale.
Da queste scelte, scaturisce un film dotato di un punto di vista che spinge a ricercare la conoscenza reciproca invece di erigere barriere improduttive, nonostante la sua prima ed evidente direttiva conduca all’intrattenimento più popolare e accessibile, peraltro dall’effetto sostenuto e condivisibile.
Dal paradosso per eccellenza, con tutti i fraintendimenti tipici del caso.
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