Regia di Eugene Jarecki vedi scheda film
FESTIVAL DI CANNES 2017 - EVENTO SPECIALE; FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2017 - SELEZIONE UFFICIALE
Come può servire una prestigiosa e inevitabilmente pacchiana Rolls Royce appartenuta al mitico Re del rock, a riuscire a fare da raccordo utile a raccontarci aneddoti inediti e personali su Elvis Presley; e ancor più come si può, sempre la stessa prestigiosa auto, inquadrare e tracciare il percorso di una ascesa vorticosa del grande cantante, come pure le varie fasi della sua folgorante carriera terminata troppo prematuramente, coniugandosi e stabilendo una coerenza con le tappe tanto decantate ed osannate del cosiddetto "sogno americano", conosciuto anche come mito di quell'Occidente? Quell'Ovest culturale in grado di assicurare, grazie alla sua base democratica e meritocratica, che impegno e dedizione possono senza esitazione condurre alla realizzazione economica e dei propri obiettivi di vita; e quindi condurre a quella forma di felicita' che rispecchia il mito stesso di cui sopra.
Il valido documentarista Eugene Jarecki ci riesce, cominciando dal mito di Elvis, facendo salire a bordo del bolide amici, conoscenti, colleghi e rivali, attori famosi informati sui fatti, o almeno sul concetto di fama ed escalation senza freni di notorietà. Finendo poi inevitabilmente, e coerentemente, a parlarci di questi States finiti in balia di un miliardario losco e guerrafondaio come l'attuale Presidente, che rappresenta la quintessenza del burrone politico/cultutale ove è piombata l'America delle pari opportunità e delle libertà (di razza, di identità sessuale, di pensiero e religione) conquistate con sacrifici e veri e propri martiri.
Un documentario acuto ed interessante che intreccia interviste a cantanti ed altri ospiti della lussuosa autovettura, a immagini di repertorio e di prestazioni del e sul grande Elvis, star ambiziosa, attaccata al denaro, desiderosa di confrontarsi con le incognite di nuove avventure ed esperienze artistiche, sempre in balia di una felicità da realizzazione che lasciava spazio a profonde solitudini e malinconie incolmabili.
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