Regia di Jung Byung-gil vedi scheda film
Un piano sequenza "depalmiano" esemplare fa da incipit esaltante alla rutilante vicenda di amore e morte di una Nikita coreana. Cinema dell'est scatenato e senza un attimo di tregua, che catapulta lo spettatore nel vivo dell'azione.
CANNES 70 - LES SEANCES DE MINUIT
Una figura armata, risoluta a dare corso allo scopo ben preciso, efferato, essenziale per cui si trova a far irruzione in quel luogo, inizia a far fuoco e a stendere, uno dopo l'altro, la muraglia umana che le si pone davanti, tra colpi d'arma bianca, sparatorie in pieno petto o nuca e colpi marziali letali.
Viviamo la scena -, meravigliosamente girata in un unico piano sequenza di oltre 15 minuti, concitato come mai e' accaduto di vedere ad oggi, ripreso come dalle spalle di quella che scopriamo essere una donna - nei minimi dettagli, completamente immersi nel campo di battaglia.
Il killer fa irruzione in uno stabile, massacra ogni avversario, viene ferita in volto da una accetta, ma non si arrende; sale al piano di sopra e prosegue la mattanza; fino a scappare volando giù dalla finestra, riuscendo a far fuori una cinquantina di avversari armati fino ai denti.
La scena magistrale e concitata che farebbe esaltare Brian De Palma, vale di per sé stessa le quattro stelle che il film, forse, non meriterebbe appieno per un certo appesantimento nella sua esagitata fase risolutiva.
La storia è quella di una "Nikita" coreana costruita in laboratorio e formata per uccidere come un killer senza scrupoli da un capo che ha saputo anche amarla, ma che non per questo rinuncia ad usarla come macchina di morte.
Per questo la nostra killer fugge dal laboratorio umano di cavie come lei, formate ed educate ad una scuola di guerra per espletare missioni di morte.
Fugge dalla Cina verso la Corea per rifarsi una vita con la propria figlioletta di cui si è scoperta incinta, trovando altresì il lato nascosto di un sentimento come la maternità, a lei da sempre estraneo, sconosciuto.
Scoprirà l'amore non proprio disinteressato, ma autentico, di una spia assoldata per fermarla, e dovrà combattere strenuamente contro l'uomo che l'ha costruita e che, pur amandola, non riesce ad accettare che la sua macchina per uccidere possa rinunciare al compito per cui è stata concepita.
The villainess (Al-Nyeo in originale) conferma la superiorità tecnica del cinema coreano odierno, in grado di strabiliare con la sua scuola di regia che non ha eguali per dinamica di ripresa e magistralita' nel cogliere il senso ed il ritmo dell'azione.
Certo molto cinema dell'est, come avviene pure qui, tende ad arrovellare un po' eccessivamente le sue storie, con una prolissità inversamente proporzionale alla dinamica dell'azione.
Detto questo, la regia di Jung Byung-Gil è un regalo per gli occhi e ci trasporta in in luna park dai ritmi forsennati in cui è bello perdersi senza domandarsi troppo o porsi inopportuni quesiti di credibilità.
Un rutilante thriller da gustarsi tutto d'un fiato, per una emozione visiva forse mai raggiunta fino ad ora dai molti precedenti action concorrenti, coreani e non.
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