Per quanto incredibile, la storia dell'inglese Billy Moore è realmente accaduta in una delle prigioni più note della Thailandia, dove l'uomo è stato rinchiuso per circa tre anni. Abituato alla violenza per essere un pugile di professione, Moore scopre ben presto che il modo di salvarsi dalla degradante condizione della detenzione carceraria è quella di continuare a indossare i guantoni, avendo come posta in palio quella di salvarsi la vita. Al modo di un reportage proveniente da una zona di guerra, il film di Sauvaire gira il martirio dei corpi e la loro umiliazione con una consistenza al tempo spirituale e carnale che da una parte riporta con precisione documentaria l'esperienza di Moore all'interno del carcere, del quale il film riesce a restituirne in miniatura le dinamiche del corpo sociale; dall'altra, si cimenta nelle forme di genere e in particolare in quella del prison movie arricchendone gli stilemi. Ciò che ne esce è un film che immerge lo spettatore nella sua vicenda non facendogli sentire le oltre due ore di durata. Jean-Stéphane Sauvaire mette insieme Winding Refn e Mendoza riprendendo, dell'uno, la cinematica della violenza, dell'altro, lo sguardo antropologico. In pratica un capolavoro!
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