Regia di Kantemir Balagov vedi scheda film
Tesnota è cinema gessato, congelato e claustrofobico (l’aspect ratio 1.33 è lì per questo), che nel filmare un susseguirsi di sentimenti soppressi e ingabbiati rischia proprio si sopprimere e ingabbiare l’emozione di chi guarda. Corteggia il discorso politico, lo abbraccia sprofondandoci dentro (la lunga sequenza delle uccisioni in tv) ma poi pare abbandonarlo, tornare alle dinamiche familiari, sacrificando il pubblico a favore dell’intimo.
Forte di una sincera e palpabile impronta realistica che aderisce al vero nudo e crudo, scivola – senza compromettersi – in qualche sporadico stereotipo (l’isteria di Ilana in discoteca), nonostante dotato di una scrittura quintessenziale, che pare sempre affacciarsi sulla soglia salvo poi lasciare agli attori la libertà di seguirla, interpretarla o tradirla.
Da un film così freddo e – volutamente – inerte sorprende il fatto di scoprirsi coinvolti dall’inizio alla fine (un quarto d’ora di meno però avrebbe giovato).
Grandi prove attoriali (Darya Zhovnar regala una performance da applausi), per un racconto che mira a rivendicare l’attualità di una (dimenticata?) parentesi storico-geografica sfruttandone le pieghe per scavare negli anfratti dell’anima di coloro che questo momento lo hanno vissuto, subìto.
Il cinema emerge dirompente in alcuni memorabili passaggi: i capelli asciugati dal phon che coprono il volto di Ilana quando la madre le comunica la sconcertante notizia, o la sequenza finale così meravigliosamente ambigua, furente e sorda.
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