L'esordio alla regia di Kantemir Balagov è un film coraggioso. Racconta dei rapporti umani, dei sentimenti che si muovono in una famiglia e degli effetti collaterali che hanno poi nella società che li rappresenta. Siamo nella Russia di fine anni novanta, una famiglia ebraica subisce il rapimento di un figlio e, per pagarne il riscatto, si rivolge alla comunità di cui fa parte.
La difficoltà del regista non sta tanto nel voler raccontare i fatti quanto nel volerli collocare storicamente e moralmente. L'iniziale tono è quasi sommesso, con le immagini che scorrono lente e lo spettatore che è passeggero visionario di ciò che accade. Tutto per metttere a proprio agio chi guarda, per farlo sentire a casa, parte della comunità; per aiutarlo a comprenderne le scelte, le idee.
La preservazione della famiglia sopra ogni cosa è il fulcro intorno al quale ruota il tutto. Le storie personali e lescelte future e presenti. Tutto sembra avere un senso fin quando non iniziano ad apparire immagini di esecuzioni e le scelte dei personaggi diventano imposizioni laddove anche le immagini non sembrano più così familiari e piuttosto che invitarci ad osservare il regista ci obbliga a guardare, rendendo il tutto più faticoso e lontano.
Così la narrazione si fa più astratta ma allo stesso tempo più intima, trasformandosi in un racconto introspettivo del rapporto tra una madre e una figlia mai veramente amata, scivolando verso un finale agognato e triste che fugge dalle iniziali, piacevoli, aspetattive.
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