Regia di Hélène Cattet, Bruno Forzani vedi scheda film
Pur restando un bel film, qui è confermato il declino da parte della coppia di registi belga, ormai impantanata in esercizi di stile citazionista. Ottima la regia, belle le musiche (prese in prestito dal cinema italiano Anni '70) ma il contenuto manca. Un film elitario, un allucinato trip fine a se stesso.
L'assalto ad un furgoncino portavalori frutta un bottino di lingotti d'oro ad una banda di ladri, composta da individui talmente spietati che, per portare a termine il colpo, non esitano ad eliminare scorta e autista del blindato. I delinquenti sono costretti a riparare in una isolata casa, di proprietà di una pittrice che vive sulla riva del mare, nella costa di una assolata Corsica. Raggiunto da una coppia di poliziotti, il gruppo si scompone quando ogni elemento combatte contro l'altro, a causa dal cospicuo valore del malloppo.
Arriva finalmente dal Belgio il terzo atteso lungometraggio della coppia Hélène Cattet e Bruno Forzani, già geniali autori dell'esaltante opera d'esordio Amer e del (meno) riuscito Lacrime di sangue. Qui i riferimenti sono -manco a dirlo- al cinema italiano psichedelico Anni '70, con occhio di riguardo al poliziesco o, meglio, al polar. Al solito, la predominante del lungometraggio è data da un linguaggio filmico personalissimo e atipico, con continue sfumature cromatiche, dettagli particolareggiati di occhi e bocca, dissolvenze incrociate o "a schiaffo" e continui sbalzi narrativi sulla linea temporale che scorre ora in avanti, quando non indietro, nella cronologia causando continui cambi di prospettiva della visione "parziale" degli eventi. La regia è dinamica, fluente ma talvolta confusa da immagini subliminali e comunque allegoriche (la donna crocifissa e costretta con corde alla minzione, già vista urinare sulla testa di un sepolto vivo) che non aiutano di certo il film a farsi apprezzare più di tanto.
I protagonisti sono poco più che macchiette, la storia (ispirata dal romanzo Che i cadaveri si abbronzino di Jean Patrick Manchette e Jean-Pierre Bastid) non fila per niente, rimanendo avvitata in una serie di eventi destinati a ripetersi ad nauseam, causa pure l'invadente loop pseudo narrativo che sbalza continuamente avanti e indietro le azioni di pochi minuti (addirittura secondi!). E che dire del profluvio di musiche tratte dal cinema di genere italiano dei tempi migliori (opere di Morricone, Cipriani e Fidenco)? Firma inconfondibile degli autori che però qui sembra essere puramente fine a se stessa, essendo sostanzialmente concentrata nelle sequenze (confusissime, caotiche) finali.
Insomma, questo poco fruibile titolo (soprattutto per un pubblico convenzionale), dà sintomo purtroppo del declino avviato con la seconda regia (Lacrime di sangue) della coppia di registi che confermano qui essere in grado di realizzare immagini affascinanti e perfette, perse però nel vuoto di una sceneggiatura priva di contenuto. La speranza è che, alla prossima occasione, Cattet e Forzani si prendano anche maggior cura del significato (le citazioni van bene ma solo quelle stancano pure). Un bel libro, infatti, non è tale solo se scritto con bella calligrafia ma anche per quello che rappresenta tra le sue righe. In questo Let the corpses tan, purtroppo, il senso sfugge alla prima visione e dubitiamo che la maggior parte degli spettatori sia disposta a concedere una seconda chance.
I brani musicali saccheggiati nel film
Faccia a faccia, Matalo, Severamente, Zombie parade, From another world, Inseguita, Un ospite inatteso, Solo grida, Canto della campana stonata.
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