Regia di Ziad Doueiri vedi scheda film
VENEZIA 74 - CONCORSO - COPPA VOLPI PER LA MIGLIORE INTERPRETAZIONE MASCHILE A KAMEL EL BASHA
Un rude meccanico di ceppo libanese e religione cristiana, annaffiando come di consueto i vasi sul terrazzo, bagna inavvertitamente alcuni muratori ed il capo mastro di origine palestinese, che d'istinto agisce rudemente. L'altro uomo reagisce ancora più aspramente quando l'impresario decide di sostituire la canaletta abusiva per lo sgorgo dell'acqua sul terrazzo dell'altro, collegandola alla grondaia. Nascono parole offensive da parte del palestinese, che spingono il meccanico a sporgere denuncia. Fino a che il primo, che nel frattempo si costituisce, viene arrestato in attesa del processo.
Una escalation della situazione porta i due individui non solo a non riuscire a scusarsi uno con l'altro, trovando nella soluzione bonaria il rimedio consono e civile più raccomandabile e pertinente, ma anzi ad infierire l'uno contro l'altro, spostando tutto il contrasto sull'irrisolto e forse irrisolvibile contrasto etnico-sociale che in quei territori mediorientali, oppone dalla notte dei tempi libanesi a palestinesi: due popoli, due tradizioni inconciliabili, due religioni che non fanno che suggellare la virulenza dell'ulcera insanabile e senza possibilità di essere rimarginata, che li separa.
La vertenza raggiungerà livelli nazionali, dando luogo ad un processo in grado di generalizzare ed ufficializzare ancora una volta una impossibilità di raggiungere un saggio compromesso.
Una tematica scottante, meritevole di ogni attenzione e rispetto, per un film che tuttavia si lascia prendere troppo dall'enfasi, dal ricatto steumentale di fondo, tratteggiando smodatamente innanzi tutto due contendenti quasi sadici, nel loro lucido proposito di farsi del male (e i personaggi minori che li affiancano in sottofondo si comportano acriticamente di conseguenza) dalle caratteristiche eccessivamente schematiche, protese troppo forzatamente a creare quel pathos da rivalità insanabile che diventa schiava di troppa premeditazione, tanto da risultare forzata e fastidiosa. Stessa cosa dicasi per i continui colpi di scena che caratterizzano il processo, gli avvocati scaltri ma anche sempre corretti e benpensanti di entrambe le parti, e quant'altro (con una sorpresa inaccettabile ed indifendibile come escamotage narrativo a sorpresa), per non rivelare e spoilerare eccessivamente.
Ziad Doueiri dirige con sicurezza, ma pecca sul lato della scrittura, opera sua e di Joëlle Touma, che si lasciano prendere troppo la mano dal coté legale, emulando certi vezzi da corte e certi saggi discorsi paternalistici o retorici da arringa processuale americana che lasciano piuttosto perplessi.
E cercando sempre con accanimento inutili colpi di scena alla "Testimone d'accusa" (mi perdoni per l'incauto paragone l'inarrivabile Billy Wilder), in questo ambito e a mio giudizio, completamente fuori luogo, fino ad una soluzione spiccia, e da lezione di vita, tra contendenti virili davvero improbabile e forzata, che trasuda una forma di "machismo" cameratesco davvero fastidioso.
Sacrosanta è tuttavia la circostanza che "per certe persone chiedere scusa non è così semplice come può sembrare", così come per altre tenere a freno la lingua: l'orgoglio separa, divide, crea fazioni ed alimenta i conflitti, come ci insegna il tribolato percorso mediorientale e, più in generale, la storia dell'umanità.
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