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Vaghe stelle dell'orsa

Regia di Luchino Visconti vedi scheda film

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La recensione su Vaghe stelle dell'orsa

di hupp2000
8 stelle

Non sarà uno dei capolavori di Luchino Visconti, ma resta pur sempre un grande e triste film del Maestro. Claudia Cardinale utilizzata al meglio delle sue capacità.

Anche se non lo sceglierei per introdurre un ignaro spettatore alla scoperta dell’opera di Luchino Visconti, questo film contiene nondimeno le caratteristiche e lo stile propri del geniale regista. La vicenda raccontata è cupa e disperata, i personaggi sono tormentati, lacerati da legami e divisioni insanabili e il finale non può che essere tragico. Il tutto viene immerso in un ambiente alto borghese di provincia, sfoggia una ricchezza decadente nella quale annaspano figure dai sentimenti estremi, esseri esistenzialmente falliti, carichi di astio e spirito di vendetta. Fra tutti, spicca il protagonismo di un fratello e una sorella uniti da una relazione ambigua, se non decisamente incestuosa. Due esseri fondamentalmente soli, in fin dei conti egoisti e superficiali, ancora giovani ma già consumati da un’esistenza priva di obiettivi validi. Il primo è un rampollo scanzafatiche, si illude di poter diventare uno scrittore di grido, ma in realtà passa il suo tempo a dilapidare parti delle ricchezze di famiglia. La seconda è sposata ad un agiato cittadino americano al quale è legata solo tiepidamente, è tormentata da sensi di colpa per i rapporti avuti in passato con il fratello e per il disinteresse manifestato nel corso degli anni nei confronti della madre malata di mente. C’è poi il ricordo del padre morto in un campo di concentramento nazista, con dubbi e sospetti sul modo e il perché venne consegnato ai Tedeschi. Difficile immaginare un quadro più fosco e più flagellato da ferite non rimarginabili.

 

Si è parlato di eccessivo calligrafismo e di un taglio letterario che rimanda a Gabriele D’Annunzio. E’ un’opinione che non mi sento di condividere a pieno. L’esercizio di stile effettivamente c’è, ma rientra secondo me in un certo virtuosismo tipico del regista. Basti pensare alla cura e alla raffinatezza degli arredi e dei costumi, all’alternarsi di primi piani e dettagli meticolosi con inquadrature a pieno campo illuminate da un bianco e nero e una fotografia di alta classe. Gabriele D’Annunzio, poi, viene tirato in ballo essenzialmente per la descrizione del rapporto tra fratello e sorella, ma l’accostamento si ferma qui. Sarei più propenso a riferirmi alla letteratura e alla filosofia disperatamente pessimistica di Giacomo Leopardi, evocate fin dal titolo e citate alla lettera da Jean Sorel in uno dei momenti più alti e intensi del film. L’attore francese mi è sembrato il volto più adeguato per interpretare il ruolo del giovane debosciato, bello e strafottente, falsamente sicuro di sé e destinato ad un crollo annunciato. Un ruolo ingrato e difficile che gli fa decisamente onore in una carriera che ha storicamente prodotto meno luci che ombre. Superfluo tessere lodi per quel che riguarda la prestazione di Claudia Cardinale. Al colmo della sua bellezza e sensualità, diretta con mano maestra da chi ne sa cogliere tutto il potenziale recitativo, riesce a dare il meglio di sé e a lasciare una traccia indelebile. Nota: l’osservazione del labiale rivela che lungo l’intero film parla francese per poi doppiare se stessa.

 

Buona, infine, la scelta della colonna sonora. César Franck non rientra tra i miei compositori preferiti, ma in questa sede alcuni suoi brani per pianoforte risultano assai efficaci. Fanno poi da corollario alcune canzoni italiane dell’epoca tra cui “E se domani “ di Mina e “Io che non vivo” di Pino Donaggio. Altro tocco di classe.

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