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La notte ha divorato il mondo

Regia di Dominique Rocher vedi scheda film

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La recensione su La notte ha divorato il mondo

di alan smithee
7 stelle

Tanto, sin troppo si è detto sui cosiddetti "non morti", al punto da renderci diffidenti ogni volta che si ripresenta un'occasione per tirarli in ballo. Il film di Rocher però si focalizza sulle difficoltà di gestione della solitudine,quando la sopravvivenza, in qualche modo "stabile",induce a preoccuparsi di problematiche psicologiche non primarie

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Sopravvivere fisicamente, ma non solo, allo sterminio da zombie.

Sam partecipa controvoglia ad una festa a casa di amici nella Parigi dei giorni nostri. Presto, annoiato e stanco, si apparta in una stanza che trova vuota e chiudendosi a chiave, si addormenta. Al suo risveglio, aprendo la porta dell'appartamento, si troverà circondato da un mondo differente, e non è solo il caos che regna il casa, plausibile con le sbornie della festa, a indurlo a pensare che qualcosa di veramente grave è successo non solo a chi lo circonda, ma a tutta la città e forse al mondo intero.

Pareti chiazzate di sangue già di per sé fanno presagire qualcosa di drammatico: poi l'incontro ravvicinato con alcune persone rese voraci da una furia assassina che li ha trasformati in automi a caccia di materia vivente, ovvero di ciò che probabilmente essi stessi non sono più.

Uno shock sufficiente per descrivere a Sam uno scenario apocalittico che ha reso la capitale francese lo spettro di se stesso.

Riuscito ad isolare tutto il palazzo, impedendo all'orda affamamta di entrare da fuori, Sam dovrà assicurarsi che gli appartamenti siano sgombri di mostri, e poi cercare di organizzarsi per raccimolare risorse alimentari dalle altre abitazioni, e suddividerle in modo da assicurarsi una sopravvivenza più duratura possibile.

Quello che trasciura Sam, è l'elemento umano: saprà continuare la sua esistenza completamente solo, con una vista ampia dal tetto del suo stabile, tutta rivolta verso un mondo che non comunica più nulla di vivo e vitale?

Basterà familiarizzare con uno zombie intrappolato nell'ascensore (lo interpreta con la grande efficacia mimica che lo rende un interprete eccezionale, l'ottimo Denis Lavant, attore prediletto di Carax) , che nella folia della sua espressione digrignante, riesce comunque, almeno a sprazzi, a far intravedere il lato umano e tenero che forse nella sua precedente essenza umana riusciva ad essere una delle sue caratteristiche salienti? 

Una figura femminile apparirà all'improvviso dai tetti, ma la diffidenza ed il sospetto lasceranno il posto ad una soluzione positiva, e a quel punto l'immaginazione subentrerà ingannevole, ma vitale, per assicurare un equilibrio psichico altrimenti vacillante.

Dal romanzo omonimo di Pit Agarmen, il debuttante regista Dominique Rocher torna sulla tematica morti viventi e zombie, ma per fortuna sceglie di concentrarsi sull'elemento introspettivo della persona: quello della difficoltà a rapportarsi, da superstite apparentemente unico e solitario, con un mondo che quando va bene rimane inerte e senza vita, mentre quando va male è popolato da un'orda famelica di mostri provo di ogni capacità di raziocinio, ma mossi solo dalla fame che li tiene vivi in qualche modo, pur essendo tecnicamente morti.

Buona la prova dell'attore norvegese, non nuovo ad apparire e a recitare nel suo ottimo francese, Anders Danielsen Lie, divenuto famoso grazie a due opere di Joaquim Trier, mentre in un ruolo temporalmente limitato, ma tecnicamente di prim'ordine, troviamo la bellissima attrice iraniana da tempo immigrata in Europa e oggi attrice internazionale, Goldshifteh Farahani.

Una bella sorpresa che confuta il luogo comune relativo ai morti viventi, ovvero che non si possa più ricavare un film se non originale, almeno stimolante su un soggetto in effetti piuttosto abusato come il genere dell'horror "zombesco".

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