Regia di Isabel Coixet vedi scheda film
Questo film è la dimostrazione esemplare del legame esistente tra il cinema e la letteratura, in questo caso addirittura doppio: non solo perché è la trasposizione di un romanzo, ma anche perché ci immerge nel vasto mondo dei libri stampati, del profumo sublime della carta e dell’inchiostro, della polvere da pulire, delle parole che si tramandano.
Ha la leggerezza narrativa e piacevole di una fiaba, ma in alcuni momenti e soprattutto nel finale il film imbocca la strada di un racconto drammatico, come a volte succede anche alle le fiabe. La regista catalana Isabel Coixet, che già si era tuffata in trame più o meno drammatiche e sentimentali, direi quasi tragiche, sceglie un’atmosfera prettamente british con personaggi ben delineati ottimamente supportati da un gruppo di attori perfetti. D’altronde il romanzo di partenza di Penelope Fitzgerald, più semplicemente ‘La libreria’, è ambientato in una immaginaria cittadina costiera del Suffolk e quindi la Coixet, ingaggiando un cast altrettanto perfettamente britannico (ad eccezione della Patricia Clarkson, che è di New Orleans, quindi di tutt’altra pasta) a cominciare dalla adorabile protagonista Emily Mortimer, forse nel suo miglior ruolo mai capitatole, e per finire al sempre in gamba, simpaticissimo ma stavolta imperturbabile e scontroso gentleman, Bill Nighy, riesce a creare il giusto ambiente per un film pienamente riuscito.
Il racconto si svolge attorno ad un piccolo album di figurine ottimamente disegnate e siamo a pochi anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, per cui è facile incontrare vedove di militari caduti in battaglia. La protagonista è Florence Green, una vedova appunto, che per amore della lettura trova la forza e il capitale presso la banca del posto per aprire in un locale vecchio e umido, abbandonato da tempo, la libreria tanto agognata, in un paesino però dove nessuno si era mai azzardato in un’impresa del genere. Progetto rischioso e ritenuto fuori luogo, soprattutto – ecco un’altra figurina importante anche ai fini della storia – osteggiato dalla persona più potente e influente della zona, Mrs. Gamart, ricca e fintamente interessata allo sviluppo culturale della cittadina. Se Florence può ricordare una specie di Biancaneve, dolce, educata, altruista, la Gamart è decisamente la strega cattiva dell’occasione che, dalle stanze del suo sontuoso castello, dove organizza feste frequentate da personalità autorevoli, trama affinché l’ambizioso e apprezzabile progetto di Florence fallisca miseramente.
In mezzo alla guerra femminile, c’è un terzo personaggio, la figurina che rappresenta il vecchio saggio e scorbutico ma con il cuore d’oro, con gli intenti di aiutare la non più giovane vedova, anche perché fortemente appassionato alla lettura di libri di ogni genere, pur non sopportando, da buon misantropo, nessuno nella sua vita di eremita, dedicando il tempo solo ai libri, anche a quelli aggiunti che da qualche tempo gli invia la nuova libraia. Nella guerra tra quest’ultima e la potente signora egli deciderà di interrompere il suo isolamento per aiutare la vedova nella battaglia legale. Attorno a questi tre centrali personaggi girano figurine secondarie ma notevolmente influenti nello sviluppo degli eventi: poteva mancare il bell’imbusto che non si riesce a decifrare nel carattere e nelle intenzioni? No, ecco infatti lo scomodo e inaffidabile uomo che va dove lo portano i miserabili interessi.
Invece la figurina piccola, che all’inizio pareva la più insignificante e che invece diventa la narratrice appassionata e che fa da filo conduttore e da voce narrante, è una ricciolina ragazzina che si affeziona alla Green e ai libri e che ne trarrà benefici per il suo futuro.
L’assenza per lunghi tratti del commento musicale è un artifizio della regista che raggiunge benissimo lo scopo, cioè quello di dare maggior effetto e peso ai dialoghi tra i protagonisti, una serie di colloqui che ha un’importanza enorme nella fluidità della narrazione: la sceneggiatura della stessa Isabel Coixet è di pregiata fattura e gli attori, specialmente i tre di cui sopra, sono così valenti ad interpretarla che si rimane incantati. Frasi quasi sussurrate (chissà che disastro il doppiaggio!), pause ad effetto e ben dosate, campi e controcampi con i tempi giusti. Emily Mortimer è superlativa, con tanto di esibizione di sguardi acuti e intelligenti che indagano negli occhi degli interlocutori per capire meglio dove è capitata: lei è fondamentalmente buona e fiduciosa negli altri ben conscia però di aver scelto un paese che non la ha accettata bene sin dall’inizio e quando decide di esporre in vetrina lo scabroso ‘Lolita’ di Vladimir Nabokov scuote la falsa coscienza dell’ambiente. Solo il buon isolato Edmund Brundish la incoraggia a non desistere. Gli sguardi complici, le pause, le gentilezze tra la Mortimer e l’inimitabile Bill Nighy sono un siparietto imperdibile: perfetta armonia e complicità che fanno tanto bene al film. Beh, che Patricia Clarkson sia brava come caratterista e non solo, come ha già dimostrato in tante altre occasioni, non lo si scopre oggi, e quindi vederla qui nei panni della donna antipatica e “arpia” è un tutt’uno: le basta lanciare sguardi sprezzanti o guardare di traverso indirizzando lo sguardo perso lontano per dire tantissime cose, oppure colloquiare con sarcasmo con la determinata (e solo apparentemente fragile) Florence Green, puntando con precisione su pause di cattiveria piene di significato. Bravissimi tutti, mentre lo stile tipicamente british contribuisce a farci immergere nella storia con facilità, tra il cielo bigio, il mare calmo ma grigio, l’umidità della campagna e delle stradine del Suffolk, il pesce fresco sulla tavola degli abitanti.
Se ‘Lolita’ ha il suo peso nella trama, altrettanto si può dire di un altro libro mitico e importante per il cinema: se da un lato siede Stanley Kubrick, dall’altro compare la copertina di ‘Fahrenheit 451’ di Ray Bradbury che ci riporta la mente il genio di François Truffaut. Due libri per due omaggi cinefili da parte della regista, ma anche due libri che nel contesto della trama hanno molta importanza: con il primo libro la popolazione viene maggiormente interessata al negozio di libri, con il secondo Edmund Brundish scopre un autore che non conosceva e di cui chiederà altri libri in continuazione.
Questo film è la dimostrazione esemplare del legame esistente tra il cinema e la letteratura, in questo caso addirittura doppio: non solo perché è la trasposizione di un romanzo, ma anche perché ci immerge nel vasto mondo dei libri stampati, del profumo sublime della carta e dell’inchiostro, della polvere da pulire, delle parole che si tramandano da scrittore a lettore.
Credevo di vedere un film sulla scia del mediocre Storia di una ladra di libri e invece mi sono imbattuto in un film che forse strizza un po’ l’occhio ai sentimenti furbescamente ma che indubbiamente è originale, ben fatto e benissimo recitato, con la sceneggiatura eccellente e ambientazione perfetta, sotto una regia che non sbaglia nulla.
I tre premi Goya ne sono la testimonianza.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta