Regia di Isabel Coixet vedi scheda film
Dal romanzo di Penelope Fitzgerald la catalana Isabel Coixet tesse una trama sottile come una filigrana preziosa, orchestra una storia di mezze luci e mezze ombre, dolce-amara, dirige un cast superlativo e forse ha dimenticato di dire al direttore d’orchestra di abbassare un po’ il volume, ma poco male.
C’è un giardino chiaro, fra mura basse,
di erba secca e di luce, che cuoce adagio
la sua terra. E’ una luce che sa di mare.
Tu respiri quell’erba. Tocchi i capelli
e ne scuoti il ricordo
C. Pavese, Estate, da Poesie
Florence Green (Emily Mortimer) “ abita “ i libri che legge e poi, quando arriva alla fine, sente il bisogno di liberarsi di quel dolore che prende quando arriviamo all’ultima pagina e dobbiamo dire addio a quei compagni di strada.
E allora va a sedere di fronte al mare, tocca i capelli e scuote via il ricordo.
Negli anni Cinquanta la costa inglese del Suffolk spazzata dal vento che agita le eriche è un luogo dell’anima, un posto in cui “ in una sola mattinata si possono alternare le quattro stagioni ”.
Si è soli fra rocce e brughiera, il mare di fronte e lì Florence dimentica il foulard a fiori che Mr. Brundish (un ascetico, intenso Bill Nighy) raccoglie nelle sue passeggiate solitarie.
Mr. Brundish è l’uomo della casa nel bosco, ama i libri come Florence, odia le sorelle Brontë e scopre Ray Bradbury grazie a lei, brucia le copertine con i ritratti di Hemingway o Wilde perché i libri hanno vita propria e non vanno associati a persone, “ tutte quelle opere non possono avere un autore, perché vengono da un’altra dimensione”.
“Noi non siamo che copertine di libri, il cui solo significato è proteggerli dalla polvere.” sembrano rispondere le copertine mentre bruciano nel caminetto.
Di lui in paese circolano le solite leggende che i paesani pettegoli tessono intorno alle persone solitarie, e allora una moglie lasciata 45 anni prima, viva e vegeta a Londra con tanti chili addosso, è diventata una moglie annegata che tornava dalla raccolta di lamponi per fargli una torta.
C’è un sottile umorismo che percorre qua e là le vicende man mano che si dipana l’avventura di Florence, questa piccola donna coraggiosa dagli occhi neri e luminosi, che decide di fare una cosa così stravagante:aprire una libreria, la Hold House Bookshop a Hardborough, un paesino sonnacchioso dove più che mangiare buon pesce e andare ai galà di Mrs Gamart (Patricia Clarkson) non si fa.
O meglio, qualcosa si fa.
Si tessono trame sotterranee per impedire di leggere libri.
I libri, si sa, sono pericolosi, qualcuno potrebbe aprire gli occhi, come il buon marinaio del porticciolo che dice a Florence che i libri… no no, mi addormento dopo poche righe.
Solo la piccola Christine con i suoi riccioli ribelli saprà che dentro c’è un mondo da scoprire anche restando fermi a Hardborough e il finale sarà tutto suo, mentre con il suo libro in mano e una colonna di fumo che si alza alta nel cielo alle sue spalle saluta Florence che va via.
Perché se gli uomini muoiono, i libri di carta vanno in fumo a 451 gradi, temperatura di combustione della carta nella scala Fahrenheit, gli uomini-libro di Fahreneit 451 vivranno sempre:
“Ognuno deve lasciarsi qualche cosa dietro quando muore, diceva sempre mio nonno: un bimbo o un libro o un quadro o una casa o un muro eretto con le proprie mani o un paio di scarpe cucite da noi. O un giardino piantato col nostro sudore. Qualche cosa insomma che la nostra mano abbia toccato in modo che la nostra anima abbia dove andare quando moriamo, e quando la gente guarderà l’albero o il fiore che abbiamo piantato, noi saremo là. Non ha importanza quello che si fa, diceva mio nonno, purché si cambi qualche cosa da ciò che era prima in qualcos’altro che porti poi la nostra impronta. La differenza tra l’uomo che si limita a tosare un prato e un vero giardiniere sta nel tocco, diceva. Quello che sega il fieno poteva anche non esserci stato, su quel prato; ma il vero giardiniere vi resterà per tutta una vita.” Ray Bradbury
La Old House è una casa abbandonata e umida infestata da topi e fantasmi.
Florence Green non demorde, chiede un prestito alla banca, il pedante “testa di patata”, impiegato di concetto dalla bocca storta, le fa la sua moraluccia e la riempie di consigli, lei insiste e davanti alla vetrina tra un po’ ci saranno mucchi di persone a guardare le copie di Lolita in bella mostra sull’espositore.
Lolita! Come se non bastasse aver messo i bastoni fra le ruote all’ammuffita Mrs. Gamart, moglie del generale semi-rincoglionito che voleva aprire in quella vecchia casa un circolo culturale!
Dimentichiamo che siamo in America e il senatore Mc Carthy scorrazza indisturbato? e che nei circoli culturali si va a giocare a … beh, oggi a burraco, forse allora a canasta, chissà?
La dolce e caparbia Florence va avanti, leggere per lei è anche un atto d’amore, è il ricordo sempre vivo del marito tanto amato morto in guerra sedici anni prima, l’uomo che ogni sera le leggeva poesie, quello con cui “abbiamo fatto tante cose insieme… anche senza aver fatto niente”.
E ora c’è Mr. Brundish, l’unico che abbia affrontato Mr. Gamart per lei. Poche, davvero poche parole fra loro, ma quelle che servono e che bastano.
“Avrei voluto incontrarla in un altro momento della mia vita”.
Il tempo è burlone, si nasce troppo presto o troppo tardi, ma i libri pareggiano i conti.
La dolce, forte, coraggiosa Mr. Green ritroverà il suo foulard, spuntava dalla tasca di Mr. Brundish fulminato da un infarto.
E’ tardi, ora Florence è davvero sola, ma gli uomini e le donne che come topi infestano il mondo non hanno alcun potere su lei, neanche l’occhialuto nipote di Mrs Gamart, un membro del Parlamento di Westminster, che fa passare una norma che attribuisce al Comune la facoltà di appropriarsi di edifici storici che sono stati lasciati disabitati per cinque anni.
La Old House viene comprata e Florence Green deve trasferirsi.
Dal romanzo di Penelope Fitzgerald la catalana Isabel Coixet tesse una trama sottile come una filigrana preziosa, orchestra una storia di mezze luci e mezze ombre, dolce-amara, dirige un cast superlativo e forse ha dimenticato di dire al direttore d’orchestra di abbassare un po’ il volume, ma poco male.
La fotografia, in compenso, è eccezionale, ma nel Suffolk e in un paesino così come potrebbe mai essere?
NOTE DI DI REGIA
Lessi il romanzo di Penelope Fitzgerald quasi dieci anni fa, nelle Isole Britanniche, durante un’estate particolarmente fredda. Quel libro fu per me un’autentica rivelazione: mi sentii trasportata di peso nel 1959 e credetti veramente di essere l’ingenua, dolce e idealista protagonista, Florence Green. In realtà, lo sono. Sento una connessione profonda con questo personaggio, non mi ero mai sentita altrettanto in sintonia con le protagoniste dei miei film precedenti.
Tutti noi ci mettiamo in gioco, quotidianamente. Si colgono grandi opportunità o piccole opportunità, e si corrono dei rischi: e la maggior parte di ciò che facciamo passa inosservato. Ma cosa succede quando NON passa inosservato? E che impatto ha ciò che facciamo sul mondo in cui noi tutti viviamo?
C’è qualcosa di eroico nel personaggio di Florence Green, qualcosa di essenziale e familiare. Si mette in gioco. Unico motivo: il desiderio di aprire una libreria. Non si cura del sostegno di chi le sta intorno, né lo cerca. Semplicemente, si rimbocca le maniche e punta dritta verso l’obiettivo. Di conseguenza, Florence Green non passa inosservata. È qui che le cose si fanno interessanti. Questa donna tranquilla, in un paese tranquillo, in una immota Inghilterra postbellica, è un invito a crescere, ad assumersi la responsabilità di rendere la vita migliore per noi tutti. È un’allegoria dell’oppresso, quando ancora non vi è nessuno che lo sostenga o faccia in modo che creda in se stesso. Florence non è una leader, altre persone ricoprono quel ruolo, che non vogliono vedersi usurpato. Le azioni di Florence, che evidenziano la sua passività come leader nell’ambito del gruppo sociale, innescano la loro collera. Ma Florence mostra la sua grinta: non molla, nonostante i numerosi moniti.”
Applaudito a Berlino, vincitore di premi Goya, La casa dei libri li merita tutti perché è così, dentro una libreria si è veramente a casa.
www.paoladigiuseppe.it
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