Regia di Sonia Kronlund vedi scheda film
Una tenace giornalista impegnata tra le regioni più calde del Medioriente ha occasione di incontrare l'Ed Wood afghano Salim Shaheen: seguendo l'eccentrico personaggio, la regista documenta la bramosia lavorativa di un uomo che si è fatto da solo improvvisando, arrangiandosi tra mille ostacoli in un paese che non tollera alcuna iniziativa artistica
CANNES 70 – QUINZAINE DES REALISATEURS – CINEMA OLTRECONFINE
Né Hollywood, né Bollywood: il cinema in Afghanistan è un prodotto clandestino, non cpncepito ufficialmente. Quindi di “Nothinghood”, in quanto fatto col niente, con l’approssimazione e la dedizione artigianale di chi lavora con il solo apporto della propria istrionica arte di arrangiarsi, facendo fronte ai mille problemi, logistici e finanziari, ma riuscendo in qualche modo a produrre in grande quantità "film", o qualcosa di simile a ciò che si intende per film, in grado oltretutto di accontentare i gusti della massa plaudente e spesso proprio entusiasta, in quanto compèletamente in sintonia con quanto gli si racconta loro, e con il linguaggio utilizzato per la narrazione.
La star in questione, che ha colorato le notti festivaliere di Cannes con la sua accattivante e trascinante simpatia, il suo kitch dilagante, spudorato, ma spesso irresistibile, anzi necessario, è il cineasta Salim Shaheen, una vera e propria icona afghana: regista, interprete, “sceneggiatore” (se di sceneggiatura si può parlare in capo ad una persona orgogliosamente quasi analfabeta, autodidatta, improvvisata, autore, o meglio responsabile, di oltre 110 film girati nella più ostinata clandestinità.
Un furetto di imponenti dimensioni, un marcantonio che recita, canta, balla, prende a pugni come il comianto Bud Spencer, corre, solleva autmezzi in fuga come Hulk, si innamora e riempie con la sua abbondante e trascinante presenza, pellicole tutte sostanzialmente uguali nella elementare dinamica dei fatti, prodotte in quantità impressionante come si stesse girando un qualunque filmato amatoriale tra amici.
In Afghanistan infatti il cinema, come ogni altra forma espressiva artistica, è bandito e Salim si è improvvisato autore con la sua innata attitudine a destreggiarsi nelle difficoltà, con la sua verve da capobranco, la sua simpatia trascinante, il suo entusiasmo ed una tenacia, oltre che una sana dose di strafottenza: insomma un atteggiamento che, nell'ambito di uno dei paesi più devastati, oppressi e meno liberi al mondo, non si sa se possa accomunarsi più propriamente all’eroismo o alla follia più incauta o incontrollata.
La documentarista francese e reporter coraggiosa Sonia Kronlund , da tempo impegnata nella denuncia giornalistica di ciò che accade in quelle zone martoriate del Medioriente, decide di incontrare l’eccentrico ed improvvisato cineasta autodidatta nel momento in cui egli si appresta a far ritorno nei pressi dei suoi luoghi natii: paesini in mezzo al deserto, a circa 100 km da Kabul, ove una folla plaudente lo attende fremente, ed ove "l'artista" si reca per presentare alcuni suoi film e per girare, con l'occasione, alcune scene dei 3/4 film che egli abitualmente egli gira contemporaneamente, riprendendo qualche angolo ameno del suo paese d'infanzia: non riprese pensate per un preciso coontesto, ma situazioni improvvisate, riprese con sfondi che a giudizio di Salim risultano interessanti, che poi utilizzerà nelle circostanze più opportune.
Insomma una nuova incontenibile incarnazione di Ed Wood, che sfrutta il proprio "impeto creativo", o la propria dilagante follia secondo altre interpretazioni, e la propria sconsiderata sicurezza e trascinante indolenza, per esprimersi e raccontare ad un pubblico che egli ben conosce, ciò che lo stesso vuole sentirsi raccontare e veder rappresentato.
Sullo sfondo di un paese in guerra sconvolto e travagliato da guerre, instabilità politica, terrorismo talebano senza soluzione, e afflitto da una povertà che attesta il paese tra le economie più arretrate del pianeta, Nothingwood diventa un inno sfrontato e a tratti irresistibile nei confronti di una creatività indolente e a suo modo geniale, che riesce a reagire ad un clima di oppressione e di divieto drammaticamente insostenibile.
Genio o lestofante? L'uno e l'altro, probabilmente, in un mix inscindibile che ci rende il personaggio un uomo di spettacolo trascinante e spesso irresistibile. Alla Quinzaine di Cannes il film è stato accolto con gran favore dal pubblico, divertito e sconcertato nello stesso tempo.
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