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Il seme della follia

Regia di John Carpenter vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il seme della follia

di Serum
10 stelle

 

Dopo decenni in cui il cinema dell'orrore aveva proceduto per tentativi falliti, Carpenter riesce a compiere un mezzo miracolo: dare forma visiva e tangibile all'estetica lovecraftiana, restituendo alla perfezione i suoi incubi ed il suo senso di fine imminente. Si parte da quella curiosa linea di confine che separa un'apocalisse dal mondo che l'ha preceduta, con un protagonista ormai ridotto ai minimi termini che attende con divertito isterismo il salto nel baratro, mentre si appresta a raccontare quello che gli è accaduto (come in La maschera di Innsmouth). Nella sua vita di cinico e spietato investigatore per le compagnie d'assicurazione era stato un predatore, perfettamente incastrato in una società di squali non migliori di lui, in cui sovrastrutture sociali saldamente radicate concorrevano a tenere le fila delle frivolezze quotidiane. Ma tutto cambia nel momento in cui s'imbatte nell'ombra di uno scrittore scomparso insieme al suo ultimo libro, che sotto alle vestigia da pseudo Stephen King rivela una perfetta aderenza con l'autore di Providence: i suoi scritti trattano di un orrore profondo, antropologico, quasi genetico, fatto di non detto e di non visto, che proietta un passato di tenebre siderali rimaste sepolte nei millenni verso un futuro di annientamento, in cui l'umanità altro non è se non un ammasso informe di pedine che saltellano sul bordo dell'abisso. I mostri di Cane (cioè di Lovecraft) sono talmente lontani dall'homo sapiens, filogeneticamente parlando, da destabilizzare chi li vede (ma anche solo chi giunge ad essere consapevole della loro esistenza) facendo deragliare le fondamenta di quella che credeva essere la realtà. Esattamente ciò che accade a John Trent, il cui viaggio alla ricerca dell'autore perduto lo conduce ad Hobb's End, luogo feticcio di Sutter Cane e perfetta rappresentazione della tranquilla cittadina periferica statunitense, con casupole semplici e curate ed abitata da campagnoli rozzi ma simpatici (un po' come la Derry di It): questo è il luogo in cui le pagine scritte prendono vita, quello perfetto dove far rinascere il male corrompendo i bambini ed aizzandoli contro i loro genitori, per poi far spandere questo morbo psicosomatico proprio tramite la persona che si credeva più inattaccabile dalla paura e dai dubbi, spingendo l'umanità letteralmente nelle fauci della follia. Così il mondo intorno a Trent viene sempre più finemente destrutturato dal demiurgo Cane, che con divertito sadismo (ma anche glaciale lucidità) trasforma il ridente paese in un inferno sulla terra abitato da demoni cannibali e deformi, dove i quadri si muovono e una vecchietta coi tentacoli fa a pezzi il marito, avente come centro di gravità una nera chiesa ortodossa (contenente il luogo di passaggio per l'occasionale "altroquando" abitato dagli esseri antichi). E quando il frastornato protagonista è ormai prossimo ad arrendersi gli viene data una spinta finale facendo collassare il tessuto stesso della realtà, creando loop temporali e spaziali dai quali non può scappare (come in Shining), incastrandolo in situazioni grottesche che lo mettono nella condizione di uno schizofrenico che delira (il libro che ritorna costantemente, il mondo che diventa blu, Hobb's End che sembra non essere mai esistita), fino alla svolta finale in cui l'intera architettura narrativa del film si rivela essere prima una mezogna (l'editore nega che qualcosa di strano sia effettivamente accaduto: il libro gli era già stato consegnato da tempo ed il poster che Trent vedeva nel vicolo copriva proprio quello di Nelle fauci della follia) e poi addirittura un artificio metacinematografico (la chiusura è dentro ad un cinema in cui stanno trasmettendo la pellicola che abbiamo appena visto). Come in tutti i grandi film una risposta definitiva non viene data: per quanto ne sappiamo forse è davvero accaduto tutto nella testa di Trent, i cui schemi mentali rigidi e spietati potrebbero averlo portato ad una crisi psicotica facendolo diventare un pazzo omicida (e la porta del manicomio aperta dal mostro altro non sarebbe se non una sua proiezione mentale). Ma credo che la lettura apocalittica sia la più intrigante: è quella che fa davvero emergere l'anima lovecraftiana, resa qui nel modo più potente e creativo immaginabile. Il seme della follia costituisce idealmente una vera e propria apologia dell'horror moderno, incarnandone tutti gli aspetti più suggestivi e traslandoli in un contesto sperimentale, complesso e stratificato come raramente è stato fatto nel genere.

 

 

 

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