Regia di Matteo Botrugno, Daniele Coluccini vedi scheda film
Ti amo come il contagio e la sua cura - diceva Shakespeare. Ma qui la storia è un'altra, tanto da fare rivoltare il genio inglese nella tomba.
VENEZIA 74. IL CONTAGIO
di
Daniele Coluccini e Matteo Cotrugno
Ti amo come il contagio e la sua cura - diceva Shakespeare.
Ma qui la storia è un'altra, tanto da fare rivoltare il genio inglese nella tomba.
Uno scrittore c’è. Ma la sua ispirazione la trova in quella di una Roma odierna, palazzinara e borgatara, fatta di cocaina e traffici illegali, di spaccio e furti, di speculazione su edilizia e sui migranti; mediterraneo, Bulgaria e Russia le nuove frontiere del guadagno facile - dice il boss Carmine.
La sua ispirazione è Marcello, un corpo tornito, michelangiolesco in un viso pasoliniano, un giovane sposato, nullafacente e che si vende a Walter, scrittore bourgeois che lo paga per prestazioni sessuali, entrambi ottimamente interpretati reciprocamente da Salemme e Vinicio Marchioni. E il contagio avviene nel male, nella droga, nel dolore.
Criminali affaristi, riciclati con politica e assessori collusi, intreccio di storie e vite di poco valore, inanellati già nel libro di Walter Siti.
Una società ai margini che deturpa le donne. Qui la moglie di Marcello – Carla - è gravemente malata e non ha i soldi per curarsi; la madre di Attilio, vicino di casa, si suicida col gas quando la polizia arresta il figlio per furto; la moglie dell’altro vicino viene ogni notte picchiata a sangue. E’ così la Roma odierna dei sobborghi.
Il film ha più che altro, un impatto di denuncia sociale e di attenzione a un sottobosco che nessuno vede. Come i licheni sotto la neve.
Il film ha validità narrativa e alcuni pezzi della scrittura di Siti, soprattutto nella prima parte sono veramente potenti.
La seconda invece è meno attraente perché si sposta sulla vita del secondo protagonista, l’amico di Marcello che lo abbandona e va a vivere nella Roma dei ricchi dove è riuscito a gomitate a entrare, e dove rimane un cocainomane a disagio, che trascina sepolta, la sua estrazione, i suoi errori e sensi di colpa e cerca di affondarli sotto una montagnetta di bianco.
Attendendo l’inevitabile valanga della distruzione. Come fa lo spettatore.
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