Regia di Francis Lawrence vedi scheda film
Divenuta un idolo dei teen ager grazie alla serie dedicata ad Hunger Games, la bionda Jennifer Lawrence cerca di adeguare la crescita anagrafica a quella cinematografica attraverso ruoli capaci di proporcela con un’immagine meno edulcorata e più ricca di zone d’ombra. Così, dopo essere stata vittima delle attenzioni del luciferino Javier Bardem nell’ultimo film dell’ex Darren Aronofsky, non stupisce di ritrovarla nei panni di una seducente spia sovietica in Red Sparrow, diretto da quel Francis Lawrence con cui l’attrice aveva condiviso la realizzazione delle avventure di Katniss Everdeen.
Prima ancora che ci si possa affezionare al personaggio di Dominika Egorova e seguirne con partecipazione le vissitudini, Red Sparrow fa di tutto per allontanare l’attrice dall’immaginario dominante, presentandola violenta e vendicativa quando si tratta di rendere pan per focaccia a coloro che le hanno impedito di diventare un etoile del balletto russo, consegnandola alla carriera di novella Mata Hari. Ma non basta, poiché, prima di ritrovarsi in missione in quel di Budapest per agganciare l’agente della CIA a cui dovrà sottrarre l’identità della talpa che consegna segreti agli americani, Lawrence mette a segno il “colpo da copertina”, esibendosi in una scena di nudo destinata – com’è già successo – a scatenare la curiosità di giornali e spettatori.
Seppur casta rispetto alle nudità che oramai siamo abituati a vedere sul grande schermo, non c’è dubbio che per un’attrice della sua categoria una sequenza del genere rappresenti comunque un inedito destinato a fare discutere e ad aprire dibattiti sulle valenze di tale scelta. Ma qui il discorso è un altro, e si riferisce all’intento dei produttori di consegnarci un prodotto mainstream capace di essere in qualche modo fuori dagli schemi. Il che, in parte, succede, in quanto, a differenza degli spy thriller costruiti sulla fascinazione iper-tecnologica degli espedienti utilizzati dai contendenti e sul generoso utilizzo degli effetti speciali, Red Sparrow sembra quasi un film d’altri tempi, centrato com’è sulla prevalenza del fattore umano e, in particolare, sulla capacità degli attori di rendere con le “proprie forze” la doppiezza tipica di chi lavora sotto falsa identità, facendo a meno di sparatorie, inseguimenti e senza il supporto delle mirabolanti acrobazie della mdp. E qui sta il punto e, per certi aspetti, il motivo che impedisce al film di soddisfare appieno le attese dello spettatore. Nell’affidarsi all’ambiguità della sua protagonista il film di Lawrence è infatti costretto a tenere fede alle regole del cinema blockbuster, dichiarando fin da subito la buona fede del personaggio, evitando cioè di mettere in discussione il suo schierarsi dalla parte dei buoni. I quali, di certo, non figurano tra le schiere dei servizi segreti russi, tratteggiati con una spietatezza e una crudeltà tale da far pensare a un sotto testo propagandistico fatto apposta per esorcizzare lo spauracchio costituito dal ritorno del vecchio nemico. Non sarebbe la prima né l’ultima volta che succede in un film di questo tipo.
(pubblicata su taxidriver.it)
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