Regia di Francis Lawrence vedi scheda film
Avere fiducia negli altri richiede un grande sforzo di estraniamento dalla realtà, dato che ormai in giro ci sono sempre più persone che, con estrema facilità, dicono una cosa per fare subito dopo esattamente l’opposto. Più si alza il livello del tavolo da gioco, maggiore è il rischio che si corre e gli interessi personali assumono la dimensione di una pietra angolare non circumnavigabile, tanto meno scalfibile. Quando poi di mezzo ci sono le due superpotenze mondiali per eccellenza – Stati Uniti e Russia – e gli individui coinvolti sono il frutto di una preparazione che annulla ogni forma di risentimento, può succedere di tutto e ogni certezza finisce con l’essere messa in discussione.
Red sparrow s’insinua in questa condizione fermandosi sempre un attimo prima di diventare qualcosa che vada oltre il format d’intrattenimento, per quanto più evoluto (ma solo in considerazione del tema). Ne avrebbe tutte le possibilità, ma non ha alcuna intenzione di rinunciare a fare i conti – anche quelli controproducenti - che, a loro volta, devono tornare prima al box office e quel che poi dovesse sopraggiungere è tanto di guadagnato, ma anche tutt’altro che fondamentale.
Costretta anzitempo ad abbondare una promettente carriera da ballerina di danza classica, Dominika Egorova (Jennifer Lawrence) deve rivedere i piani di una vita, finendo invischiata da suo zio Vanya (Matthias Schoenaerts), funzionario del governo russo, in scelte che vanno al di là della sua volontà. Dopo aver affrontato la dura preparazione di una scuola dei servizi segreti, è spedita in missione, con l’incarico di adescare Nate Nash (Joel Edgerton), un agente della Cia.
Il loro incontro scatena una reazione a catena che rimescola continuamente le carte in tavola nello scontro tra le intelligence di Stati Uniti e Russia.
Red sparrow riunisce i Lawrence più famosi di Hollywood: Francis si posiziona in cabina di regia e Jennifer si prende tutto il proscenio, esattamente come accaduto negli Hunger games, che hanno visto i due collaborare in tre capitoli (La ragazza di fuoco, Il canto della rivolta – parte I, Il canto della rivolta parte II).
Trattasi di un indizio, che rivela come il soggetto spionistico non possa essere elaborato con la massima autorità, come ad esempio avvenuto al cinema nei non troppo distanti La talpa e Il ponte delle spie, o in televisione in serie di enorme attrazione quali sono Homeland – Caccia alla spia e The americans.
Da questa condizione scaturisce un compromesso, una specie d’inciucio che non permette di spingere il pedale fino in fondo, prestando attenzione a ogni mossa, a cominciare dalla fotografia dell’insieme, discretamente curata ma senza picchi di cui fregiarsi.
A seguire, lo svolgimento è lineare, privo di un particolare acume e del dono della sintesi, con incastri facilitati e trappole posizionate esattamente dove le si aspetta, ma anche forte della presenza della manipolazione, della lotta di classe e tra i sessi, con un’ambientazione che – per una volta – nemmeno sfiora il suolo americano, sviluppandosi tra la Russia e l’est Europa, con puntate a Vienna e a Londra, ricordando la prassi del girovagare tra varie unità di luogo, tanto cara a tante produzioni hollywoodiane.
Proseguendo sui fondamentali di diversa riuscita, occorre menzionare una dietrologia manichea, per cui le parti in causa sono suddivise in buoni e cattivi nonostante chiunque possa capire che nelle circostanze descritte ognuno non possa fare altro che pensare esclusivamente al risultato finale, mentre a favore va detto che quando il gioco si fa duro, Red sparrow riesce a creare – almeno in un paio di occasioni - un equilibrio perfetto all’interno del gioco delle parti, per cui la verità s’inserisce in un limbo e i precipizi si susseguono, seppur senza possedere alle spalle una ragnatela precostituita.
Ad ogni modo, molto verte sulla presenza di Jennifer Lawrence, audace e fisicamente prominente pur senza essere sconvolgente (appunto perché il testo non vuole che così sia), mentre l’affidabile Joel Edgerton se ne sta buono al suo posto, mentre il resto del nutrito cast contempla l’algida rigidità di Charlotte Rampling, un Matthias Schoenaerts sufficientemente dedito alla causa, la precisione di Jeremy Irons (invero richiamata solo in una situazione), la nonchalance di Mary-Louise Parker e Ciaran Hinds relegato in un angolo pressoché inutile.
Sottoposto a varie forze – attrattive e repulsive – Red sparrow rimane un film pensato prima di tutto per il consumo. Adulto nelle tematiche, ma recalcitrante nel fare il passo successivo per non giocarsi del tutto il pubblico più giovane che adora Jennifer Lawrence, un compromesso captabile da lontano, che mostra comunque quanto il sesso sia lo specchio per le allodole per eccellenza e quanto i soldi possano rimescolare le posizioni, con il doppiogiochismo portato ad apodittica regola dell’arte e il viscido potere dei grandi leader predisposto all’annullamento del volere del singolo.
Ordinato e rilegato con scolastica attenzione, un distillato che guarda a entrambi i lati della medaglia dei suoi potenziali fruitori, cercando di non irritare troppo alcuno di loro, accontentandosi di finire nella stipata intercapedine di chi non vuole osare.
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