Regia di Lucio Fulci vedi scheda film
Il tessuto di questo film è una realtà gridata e dissonante, in cui i colori sgargianti, le luci abbaglianti ed i suoni assordanti sono, nell’insieme, un eccesso kitsch, un proclama libertario ed un’allucinazione psichedelica. Fra le righe si legge l’estetica ribelle degli anni settanta, il realismo grezzo eppure ebbro, da letteratura popolare tuffata nella cronaca mondana. Lo schema di riferimento è il rotocalco, l’istantanea, il fotoromanzo, il collage di situazioni che crea un’atmosfera incerta, dal fascino blando e ricercato, trasformando ogni scenario in un teatro della suspense e della paura. La storia, nel suo complesso, assomiglia a un’imbastitura di piccoli bozzetti di terrore, spruzzati di simboli a volte ingenui (come i pipistrelli), a volte inaspettatamente originali (come la tela “pugnalata” di vernice), che restituiscono un quadro discretamente fantasioso e giustamente fuorviante. Come si addice ad un racconto a sfondo psicanalitico, i protagonisti della vicenda sono gli oggetti, reali o immaginari; in questo giallo essi sono, infatti, come sul lettino freudiano, gli indizi mascherati che, se opportunamente decodificati, conducono diritti alla verità. Sul fronte sociale, il tema di fondo è l’apparenza - coniugata alla cecità autoindotta - che è, nel contempo, la forza e la maledizione della borghesia. Voler sembrare e non voler vedere sono la sostanza di un’alienazione che vive, con diverse modalità, sia nelle elitarie prigionie dei palazzi bene, sia nelle finte libertà dei deliri hippie. In Una lucertola dalla pelle di donna la regia di Lucio Fulci sembra contrassegnata da un approccio vagamente trash che, però, decide di imboccare la strada dell'astrazione figurata, dell'allusione metaforica, della chimica cerebrale, distribuite, con pennellate irregolari, sulle immagini "rubate" di una torbida faccenda.
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