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Il bidone

Regia di Federico Fellini vedi scheda film

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La recensione su Il bidone

di ed wood
8 stelle

Averne di film minori così. Stretto fra pietre miliari del calibro dei Vitelloni, della Strada e delle Notti di Cabiria, questo Bidone resta forse il film più dimenticato di Fellini. E’ un peccato perché, al netto di qualche difetto strutturale, resta un’opera forte e riuscita nel descrivere impietosamente una italietta di impostori, miserabili, cinici. La banda del Bidone è, di fatto, la versione adulta, feroce e deviante dei ragazzotti piccolo-borghesi di provincia, che animavano le feste dei Vitelloni: individui meschini, opportunisti, patetici, ritratti con molta più cattiveria che affetto da parte del maestro riminese (e pensare che ancora oggi c’è chi equivoca, inquadrando Fellini come un apologeta dell’italiano medio-basso!).

 

Se i Vitelloni erano oziosi, indolenti, velleitari, al punto da non riuscire ad evadere da una inconcludente vita provinciale, i truffatori del Bidone non conoscono altra idea di vita che non sia quella dell’imbroglio, soprattutto ai danni dei più poveri e dei più sfruttati (contadini, sottoproletari delle baraccopoli, una ragazza storpia), di quelli meno tutelati dalle istituzioni. Istituzioni di cui praticamente non vi è traccia per tutto il film (con l’eccezione di un casuale arresto da parte di un carabiniere), cosa che conferisce una dimensione disperata ed esistenziale al far west morale dipinto nel film.

 

Un film duro, senza sconti, forse il film più implicitamente politico da parte di Fellini. Non mi sono documentato, ma sospetto che qualche guaio con la censura democristiana questo film potrebbe avercelo avuto. Non solo non vi è traccia di solidarietà e compassione, se non quella ipocrita e schifosamente strumentale di uno dei protagonisti nei confronti della giovane disabile, in una sequenza di pathos negato e dolente crudeltà. Oltre a questo, in modo beffardo, gli abiti religiosi vengono utilizzati dai personaggi proprio per truffare il popolo, che nella simbologia cristiana vedeva (e vede tuttora) l’unica speranza di redenzione.

 

Si possono trovare forse poco “felliniani” stile e contenuti di questo film, ma non è proprio così. Al di là della parafrasi dei Vitelloni, basta vedere come è diretta la sequenza della festa in casa dell’arricchito per avere davanti agli occhi una anticipazione, certo meno grottesca e deformata, della decadenza morale di una borghesia volgare come quella del Boom di qualche anno dopo (o anche quella craxiana degli anni 80 o berlusconiana degli anni 00: l’Italia del Bidone era già un “Paese da bere”). L’andamento rapsodico, il ritmo stagnante, il tono disincantato, la psicologia spesso messa da parte (non senza qualche scompenso) in favore dell’affresco antropologico, la poesia sbronza scaturita dalle camminate notturne, il controcampo “umanista” che chiude il film (anticipando il sentimento del finale della Dolce Vita) sono Fellini al 100%.

 

Un Fellini dunque lucido, spietato analista dei vizi italici, capace purtroppo di essere fin troppo profetico, non eguaglia i risultati di altri suoi capolavori, solo per qualche difetto di sceneggiatura (conflitti psicologici non ben dispiegati, situazioni ripetitive, alcuni personaggi solo abbozzati; ma del resto tutto ciò fa parte della poetica felliniana), di regia (la sequenza troppo lacrimosa e teatraleggiante del litigio fra Iris e Picasso) e di casting (sprecata la Masina, troppo scarso Baseheart; buono invece Crawford, delinquente “vissuto”, e Fabrizi, perfetta faccia da schiaffi): pecche che tuttavia non impediscono al Bidone di essere un film da vedere senza riserve.

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