Regia di Will Gluck vedi scheda film
In linea di principio, la ricerca della felicità è una prospettiva che accomuna tutti, chiaramente poi gli obiettivi sono diversi. C’è chi ha l’ambizione di sfondare nel mondo del lavoro, chi deve sempre dimostrare qualcosa anche rischiando la pelle e chi non ha molte pretese, basta non smarrire la serenità, quel sorriso che si disegna sul volto già a ogni risveglio mattutino. Per individui con motivazioni così dissimili, la convivenza reciproca pone ostacoli abbattibili solo grazie a una presa di coscienza, che non si conquista per caso.
Da sempre in lotta con l’insensibile Thomas McGregor (Sam Neill) per la conquista dei suoi ortaggi, il coniglio Peter e la sua combriccola vedono accrescere i loro problemi quando la proprietà passa di mano al più giovane Thomas (Domhnall Gleeson), un ragazzo di città, per la prima volta alle prese con quella vita da campagna che disprezza sinceramente.
Per questa ragione vorrebbe essere solo di passaggio, ma quando conosce la sua nuova vicina di casa Bea (Rose Byrne), scatta l’infatuazione. Peccato che Peter sia tremendamente geloso per l’affetto che lo lega alla ragazza, tanto da essere pronto a commettere qualunque scorrettezza pur di far naufragare il loro incipiente legame.
Sono previste turbolenze.
Ricavato da un racconto di Beatrix Potter, a sua volta già soggetto di un film dedicato – Miss Potter – tutto fuorché ispirato, Peter Rabbit rientra a pieno titolo nella folta schiera di prodotti pensati per un consumo in famiglia, mescolando uno sfondo live action con creature digitali riconosciute dal pubblico, senza smarcarsi dalla concorrenza.
Infatti, lo svolgimento rientra nei canoni di un’antifona consolidata, per cui dai dissapori iniziali la maturazione porta inevitabilmente a una rinnovata convivenza, un ravvedimento ottenuto forzando improvvisamente i tempi nell’ultima fase, pur di arrivare puntuali – gli altrettanto canonici novanta minuti e rotti – all’atteso happy ending.
Visto il tipo di pellicola, non è comunque un difetto impenetrabile, l’essere rassicuranti rientra in uno spartito praticamente obbligatorio, per cui l’attenzione si sposta altrove.
Intanto, la digitalizzazione degli animali ha una qualità di tutto rispetto e la coabitazione con gli attori in carne e ossa ha un equilibrio soddisfacente. In secondo luogo, il film è un susseguirsi di frazioni che ricercano il beneplacito del pubblico, alternando gag divertenti e dispettose, soprattutto quando il gioco si fa duro e senza esclusioni di colpi, ad altri che si esauriscono con effetti più blandi.
Se non altro, non scade eccessivamente nelle bassezze di prodotti simili, come Alvin superstar e seguiti, quantunque le poche occasioni accompagnate dal canto siano stucchevoli (e il regista Will Gluck con il musical aveva già combinato un disastro con Annie - La felicità è contagiosa), e grazie anche a due interpreti in palla, la disarmante spensieratezza di Rose Byrne è allietante e rassicurante, mentre Domhnall Gleeson sguazza in un ruolo burbero, per lui insolito (ma in linea con alcuni personaggi interpretati da suo padre, Brendan Gleeson), Peter Rabbit acquisisce una sua dignità.
Scattante come una filastrocca, tecnicamente professionale e vagamente anonimo nel suo impianto narrativo.
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