Regia di Roar Uthaug vedi scheda film
Ripensando al dittico cinematografico dedicato alle avventure di Lara Croft, la prima considerazione è quella che riguarda il modo con il quale il nuovo Tomb Raider firmato da Roar Uthaug decide di confrontarsi con l’eredità ricevuta in dote dai primi due capitoli della serie. Trattandosi di un reboot, va da sé che quello di Uthaug prenda le distanze dal modello originale, ma Tomb Raider dimostra di volerlo fare in maniera più netta di ciò che ci si poteva aspettare. Se la presenza statuaria e altera di Angelina Jolie entrava in qualche modo in contrasto con un tipo di eroina femminile abituata a una fisicità e a un dinamismo diversi dalla levigata compostezza della diva americana, di tutt’altra pasta è fatta quella della subentrante Alicia Wikander, la quale, a fronte di una corporatura minuta e di una bellezza sobria e discreta, riesce a entrare in sintonia con le caratteristiche del personaggio. Quest’ultimo, proposto da Uthaug in una versione più umanizzata di quelle precedenti e in misura di una femminilità accessibile e terrena, che troverebbe spiegazione nel tentativo di fare di Lara una sorta di Peter Parker in gonnella, è capace di dividersi tra la responsabilità di salvare il mondo e quella di provvedere a se stessa, sbarcando il lunario con determinazione ma senza particolari pretese.
Oltre a rifare il maquillage del personaggio, Tomb Raider si prende, però, la briga di approfondirne le origini, collocandosi dal punto di vista temporale in un momento immediatamente precedente alle vicende raccontate da Simon West nel “capostipite” cinematografico, con Lara pronta a mettersi in viaggio alla volta dell’isola nella quale spera di ritrovare il padre scomparso nel tentativo di scoprire la tomba di un’antica regina giapponese. Detto che la missione organizzata dalla ragazza si trasforma come da copione in un percorso ad ostacoli costellato di mille trappole e pericoli, Tomb Raider si segnala in questa fase della narrazione per la scelta di raccontare l’avventura della protagonista alla stregua di un percorso di formazione in cui cadute e rinascite costituiscono la via per raggiungere nuove consapevolezze.
A differenza della Jolie, identica a se stessa e al videogioco da cui il film è tratto, quella della Vikander è una Lara Croft che rifiuta di diventare la controfigura di chi l’ha preceduta. Significativo, in questo senso, è il cambiamento iconografico imposto al personaggio: tanto sottomessa ai riferimenti delle fonte video ludica è la prima, tanto aderente alle fatiche della sua missione è la seconda, sottoposta a un tour de force fisico ed emotivo durante il quale la vediamo spesso a terra, sanguinante e scarmigliata per le offese arrecatele dal nemico. Senza particolari attrattive rispetto alla maggior parte degli action movie che arrivano nelle nostre sale, Tomb Raider si fa apprezzare per la verosimiglianza con la quale riesce a mantenere le azioni delle protagonista all’interno di una normalità giustificata dal fatto che le abilità messe in mostra da Lara nel corso della vicenda sembrano la conseguenza di gesti istintivi, fatti per sopravvivere ai pericoli in cui si imbatte, più che il risultato di un potere sovrumano. Anche per questo motivo il fascino bello e possibile della Vikander è destinato a diventare la ragione principale per andare a vedere il film.
(pubblicata su taxidriver.it)
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