Regia di Mickey Keating vedi scheda film
Un tripudio di scene violente (ma non eccessivamente splatter) caratterizza l'ennesimo film di Mickey Keating, regista prolifico ma (poco) celebre per Carnage park, attualmente il suo lavoro più completo.
Condannato all'esecuzione capitale, l'omicida Starkweather (Larry Fessenden) si lancia in una terrificante profezia: i suoi "eredi" stanno per manifestarsi. Dopo la sua morte, in una lunga notte, una indefinita quantità di serial killers si metterà all'opera. Lo Strangolatore (James Landry Hébert), dopo avere compiuto l'ennesimo delitto, fa così la conoscenza di Blondie (Angela Trimbur) una psicopatica che, indossando una maschera da samurai, si accanisce sugli uomini dopo averli sedati. Mentre uno sceriffo sanguinario incontra uno sfigurato maniaco che agisce in maschera. Ma la più sadica rimane Alice (Ashley Bell), ballerina e cantante schizofrenica che si diverte a torturare il prossimo solo per sfogare le sue delusioni professionali. In una sarabanda di atrocità, i ruoli si invertono per alcuni di loro, costretti a finire così dalla parte delle vittime.
Di Mickey Keating abbiamo più volte avuto occasione di scrivere. A cominciare dal brutto esordio Ritual (2013), proseguendo con il poco entusiasmante Pod (2015), per poi citare i più interessanti Darling (2015) e Carnage park (2016). Nel caso di Psychopaths purtroppo si ritorna alla mediocrità dei primi lavori. Non tanto per la tecnica, che anzi appare molto più sviluppata, ma per via di una sceneggiatura (opera del regista) confusionaria e irrisolta. Ed è un vero peccato, perché l'uso del colore, psichedelico e accentuato, associato ad un paio di momenti in split screen e a riprese non convenzionali, ne fanno un prodotto molto ben curato sul piano estetico.
La scelta di accompagnare quasi tutto il film con brani musicali suonati da giradischi in vinile e l'uso di un videoregistratore a nastri, è un voluto omaggio che Keating tributa al cinema del passato (chi non ci vede Vestito per uccidere di De Palma in molte sequenze?). L'artificio delle maschere appare forzato, come in genere appare forzato l'intero intrecciarsi dei serial killers. L'accumularsi di scene violente, in un contesto da apocalittica fine del Mondo, ha un suo fascino e tiene decisamente in uno stato di costante apprensione, ma a rendere poco interessante il film è l'approccio palesemente emulativo -privo di un solido nucleo narrativo- ovvero il volersi porre, da parte del regista, sullo stesso piano ipercitazionista del Quentin Tarantino degli esordi. Da segnalare il minimo comune denominatore che attraversa l'intera filmografia di Keating e che risponde al nome di Larry Fessenden, produttore esecutivo e interprete nel ruolo dell'ambiguo Starkweather.
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