Regia di Mauro Bolognini, Mario Monicelli, Antonio Pietrangeli, Luciano Salce vedi scheda film
Ennesimo capitolo di una saga che nel giro di pochi anni ha prodotto una decina di film, tutti sul medesimo argomento: l'emancipazione socio-sessuale delle donne italiane. Si va da Boccaccio '70 (1962) ad Alta infedeltà, Controsesso e La mia signora (1964), da Le bambole e Oggi, domani e dopodomani (1965) a Capriccio all'italiana e I nostri mariti (1966) fino a Le streghe (1967). Nel primo episodio (Fata Sabina, di Luciano Salce, con Monica Vitti ed Enrico Maria Salerno) una giovane (Vitti) provoca due distinti signori che tentano poi di violentarla. Quando stuzzica anche il terzo (Salerno), che si mostra disinteressato, la scena si inverte. Qui Salce riesuma, alla sua maniera un po' triviale, lo stereotipo in voga in quegli anni della donna sessualmente libera e cacciatrice. Ne esce un episodio volgare con una Vitti tuttavia impeccabile e divertente. Nel secondo episodio (Fata Armenia, di Mario Monicelli, con C.Cardinale e G.Moschin), un pediatra (Moschin) si lascia sedurre da una bella donna (Cardinale) con la scusa del figlio. Soltanto nel finale scoprirà che si tratta di una baby-sitter. Qui Monicelli sembra a corto di idee e l'episodio sembra girato svogliatamente. Il terzo episodio (Fata Elena, di Mauro Bolognini, con R.Welch e J.Sorel) è, se possibile, ancora meno riuscito degli altri. In esso un uomo (Sorel), convinto di avere sposato una donna troppo casalinga e noiosa, si concede una scappatella con la moglie (Welch) di un amico, salvo poi scoprire che la sua signora non si comporta esattamente come Penelope. L'ultimo episodio (Fata Marta, di Antonio Pietrangeli, con A.Sordi, Capucine e G.Ballista) vede una donna aristocratica (Capucine) sedurre il proprio autista e cameriere (Sordi). Ma il giorno seguente la blasonata non ricorderà nulla e l'inserviente elaborerà la giusta strategia per acclimatarsi nel migliore dei modi. Insipida, inutile e corriva variazione sul tema del rapporto tra servo e padrone, tanto in voga negli anni sessanta con tentativi di satira di costume, in chiave stavolta semierotica.
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