Regia di Steven Spielberg vedi scheda film
RPO è un continuo e grandioso omaggio all'immaginario collettivo e alla cultura popolare (soprattutto occidentale) di questi ultimi decenni, un inno all'immaginazione e alla creatività ma che inciampa su se stesso quando cerca di creare qualcosa di personale o che non sia soltanto "derivativo" di qualcosa o qualcuno.
RPO è un continuo e perpetuo omaggio, grandioso ma comunque enfatico, all'immaginario collettivo di questi ultimi decenni, un film che affonda la propria ragione di essere nella storia non solo del cinema fantastico ma anche della musica, dei fumetti e delle serie TV a partire soprattutto dagli anni '80 (ma in realtà anche da prima) fino ad arrivare ai giorni nostri.
Un film che è anche un inno all'immaginazione, alla creatività oltre che un sincero ed esplicito omaggio a un certo tipo di cultura popolare, quella nerd per antonomasia, in un susseguirsi continuo di rimandi, strizzate d'occhio, citazioni et simili a personaggi, storie e luoghi in un viaggio ipercinetico attraverso un parco giochi ricolmo di ogni meraviglia e sorpresa.
E tutto rigorosamente in CGI.
Il ragazzino "nascosto" dentro Zio Stevie non poteva quindi trovare un progetto migliore per tornare a divertirsi.
E a divertire il suo pubblico.
RPO si trasforma quindi anche in un'ode al nerd (o a un suo stereotipo), sempre che ancora ne esistano, adottandone direttamente il linguaggio e i simbolismi, vezzeggiandoli e blandendoli, ma anche stordendoli grazie con una regia efficacissima e con un ritmo travolgente, specie nella prima parte, da lasciare quasi senza fiato: ogni fotogramma, immagine o elemento anche se posizionata sullo sfondo o visibile per pochi secondi diventa una citazione o un omaggio a un film, un libro, un videogioco, un fumetto o un cartone animato di cui abbiamo almeno un qualche ricordo.
Un ricordo con il quale siamo cresciuti e che, sotto i nostri occhi, si trasforma in un mondo quasi reale, accessibile ma soprattutto, vivibile.
Un sogno nerdgasmico che, incredibilmente, diventa realtà.
O almeno lo diventa al cinema per un paio d'ore.
Il film però inciampa quando cerca di personalizzare qualcosa, di tratteggiare i protagonisti (troppo semplificati e/o troppo generici) o di costruire un'estetica che non sia esclusivamente derivativa o nostalgica, accessibile quindi anche per chi abbia una discriminante o non sia generalmente interessata a questo genere di prodotti.
La sceneggiatura poi è fin troppo leggera e schematica, come in un videogame si passa dalla risoluzione di un problema alla "schermata" successiva senza che questo comporti conseguenze e/o evoluzioni non solo per i personaggi (il protagonista mostra le stesse emozioni sia che gli uccidano la zia sotto gli occhi, sia che si spupazzi la nuova fidanzata) ma anche per la storia stessa che procede per blocchi forzati, presupponendo poi domande (Quale nuovo significato ha, ad oggi, la cultura pop? Può essere ancora considerato soltanto come un sottoprodotto di genere? La globalizzazione generalizzata di brand e prodotti, ovvero sempre più persone che vedono/leggono/ascoltano sempre le stesse identiche "cose" cosa comporta? Dove ci ha portato o dove ci porterà?) a cui si guarda bene dal dare risposte, anche a ragion veduta, per carità, ma questo significa anche che Spielberg e la produzione hanno ben presente il target di riferimento della pellicola e si limitano, di conseguenza, a realizzare un'opera a loro consumo e di puro e semplice intrattenimento.
Niente di più.
Alla luce di questo chi ha immaginato o sognato, come ho letto all’epoca, che questa pellicola potesse, in qualche modo, ergersi a “Manifesto” di un presunto nuovo orgoglio Nerd (qualsiasi cosa significhi) da sfruttare per rimarcare un proprio posto al sole e/o una maggiore considerazione sia sociale che culturale temo che ne sarà rimasto invece particolarmente deluso, in quanto l'opera di Spielberg si guarda bene dal prendersi carico di una tale gravosa responsabilità.
VOTO: 6,5
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