Regia di Steven Spielberg vedi scheda film
Se questo è il futuro, fermi tutti, io scendo prima.
Siamo nel 2045, un’epoca in cui l’umanità vive una gravissima crisi culturale e sociale in cui molti esseri umani vivono in baraccopoli fatiscenti e in stato di semipovertà, e che per sfuggire al sentimento di sconforto e decadenza che li devasta si rifugiano nel mondo virtuale OASIS. Qui, con il proprio avatar, la propria identità virtuale, chiunque può entrare e vivere in un mondo fittizio dove può fare tutto quello che vuole: lavorare, istruirsi, conoscere persone nuove e ovviamente giocare e guadagnare qualche soldo. Ma attenzione a non perdere soldi, perché se si va in debito si finisce in veri e propri campi di concentramento.
Questo futuro distopico, che Spielberg avvicina ad avveniristici anni Ottanta per look, colonna sonora, modulazione narrativa, ironia di fondo e soprattutto per lo spirito giocoso e avventuresco della storia che ci ricorda lo Spielberg pre-Schindler’s List (1993), è una vera e propria tecnocrazia. Le macchine, intese quelle digitali, la realtà virtuale, la realtà aumentata e tutti gli inquietanti progressi delle cosiddette nuove tecnologie, se non comandano gli umani ne sono comunque diventate la droga, con conseguenze devastanti sulla psiche, sulla salute, sulla società e il rapporto con il reale. Problematiche che già oggi molta letteratura scientifica e molti studi medici, soprattutto pediatrici, stanno affrontando e che stanno indicando come altamente nocivi per i nativi digitali, le cui inquietanti conseguenze in termini di salute fisica e mentale sono ormai individuabili.
Spielberg, prendendo il romanzo culto di Ernest Cline (2010), imposta l’intera pellicola, furbamente, sull’intrattenimento digitale e virtuale, fatto di avatar, sequenze digitali virtuosissime e a mio parere inguardabili – come la gara automobilistica – per poi teorizzare, attraverso l’ideatore di OASIS, James Halliday, l’impotenza di questi mondi virtuali e delle nuove tecnologie di sostituirsi alla realtà. Ho sperato tanto in un finale più radicale di quello del film, ovvero Tye Sheridan che preme il pulsante rosso e chiude definitivamente OASIS riportando tutti con i piedi per terra, ma sono stato disatteso e anche deluso. Non delude invece né la regia né gli attori principali. Tye Sheridan come al solito perfetto anche grazie a quel pugno alzato che non le manda certo a dire, e Ben Mendelshon sempre più a suo agio nei panni di villain.
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