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November

Regia di Rainer Sarnet vedi scheda film

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La recensione su November

di mck
8 stelle

...e liberaci dal Male.

 


Quadrilatero affaccio sulla prospettiva baltica / 1 :
- “November” - Rainer Sarnet, 2017, Estonia, XIX sec., B/N
- “Pokot” (“Spoor”) - Agnieszka Holland, 2017, Polonia, inizio del XXI sec., Col.
- “Risttuules” (“In the CrossWind”) - Martti Helde, 2014, Estonia, metà del XX sec., B/N
- “Sauna” - Antti-Jussi Annila, 2008, Finlandia, a cavallo tra il XVI e il XVII sec., Col. 

 


Parentesi della Storia / 1 : “November” : teppisti tedeschi contro estoni mangiasapone (Boreal Malady).

 


Gioca bene con certe istanze della grammatica filmica, quando ad esempio lavora sulla scomparsa in fuori campo presente/manifesto, ovvero quando un personaggio in campo guarda un qualcosa o qualcuno fuori campo compiere un'azione, Rainer Sarnet, classe 1969 e attivo da una ventina d'anni (il 1° corto nel '98, il 1° lungo nel '06), firmando con questo “November”, tratto dal romanzo “Rehepapp ehk November” (“Old Barny aka November”) di Andrus Kivirähk (classe '70) del 2000, un dramma storico-fantasy pieno d'inverni, carestie, fame, e licantropi (passeggiata nell'effetto nuit américaine degna di Jacques Tourneur/Simone Simon e Paul Schrader/Nastassja Kinski), belle addormentate, golem, dame del lago (“lo Zio Boonmee che si Ricorda le Vite Precedenti”), fantasmi reincarnati, magiche stregonerie (impersonificazioni kurosawaiane), capretti satanici, morte in guisa e abito animale, e stranieri invasori, connazionali collaborazionisti, compaesani resistenti, e galline e galli in sauna, e innamorati.

 


Con loro, essudati dalla e incisi nella mitologia estone, i Kratt [un omo-eterogeneo (diverso nella similitudine, somigliante nelle differenze) coacervo d'impressioni deliziosamente boschane, allegramente kubiniane, vivacemente beksinskiane, con un'impronta di fondo picassiana (xeno-antropomorfosi: per piedi degli zoccoluti ferri da stiro, per mani rastrelli e falci, per volto una via di mezzo tra un tegame/utensile di cucina, un teschio bovino, un attrezzo agrimensore, una sella di bicicletta e la scultura...

 

 

 

...cubista nella Daley Plaza del Loop di Chicago by "the Blues Brothers"), e vicine/lontane eco di Sam Raimi e David Lynch], servitori spirito-bio-artificiali (possono steampunkianamente andare in cortocircuito per conflitto d'istanze e ordini impartiti) degli esseri umani frutto dell'innesto di anime di persone defunte o financo - in alcuni casi di stretta necessità o cieco bisogno - ancora vive (in questo caso avviene la creazione dello sdoppiamento dell'imago di un anîmus/ánemos, e il riscatto irrevocabile avverrà alla fine del servizio reso) su svankmajeresche strutturate armature deambulanti eterogeneamente semi-“auto”-assemblantesi in ciangottanti (sound design rumorista degno di Jack Foley e del già citato Maestro praghese dell'animazione e in zona sicilian-russo-leoniana soffiando nell'ancia e pizzicando le lamelle dello scacciapensieri) agglomerati frutto della combinazione compos(i)ta di cascami domestici, lacerti agricoli e rigaglie industriali.

 


Sfamàti a forza di ostie della comunione - nemmeno l'atavica brama di vorace ingordigia di un Totò (tanto De Curtis quanto quello che Visse Due Volte) o di un Tarr Béla, ché infatti così non è, e le ostie sputate/rigurgitate diventano esche/proiettili pagani - la raccolta messe di personaggi arranca, sogna, escogita e vive i propri luogo e tempo, com'epitome del mondo, espropriati dei propri desideri e possibilità, e in attesa e incanto dell'inattendibile rivalsa.

 


Magnetica Rea Lest [il coevo “Mehetapja/Süütu/Vari” (“ManSlayer/Virgin/Shadow”) di Sulev Keedus e il prossimo “Skandinaavia Vaikus” del summenzionato in esergo Martti Helde], una simbiosi tra - modello anglofono - Saoirse Ronan (“Atonement”, “the Lovely Bones”, “the Way Back”, “Hanna”, “Byzantium”, “the Host”, “Grand BudaPest Hotel”, “Brooklyn”, “On Chesil Beach”, “Lady Bird”), Mia Wasikowska (“Alice in WonderLand”, “RestLess”, “LawLess”, “Tracks”, “Stoker”, “Only Lovers Left Alive”, “Maps to the Stars”, “Crimson Peak”) e Anya Taylor-Joy (“the Vvitch”, “Split”). Facce altrettanto indimenticabili tutte le altre.
Fotografia di Mart Taniel, montaggio di Jaroslaw Kaminski (“Ida”), musiche di Jacaszek.

 


(***¾) * * * *   

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